Osservatorio

Concorsi aziendali interni vincolanti per il datore di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2021)

19 Febbraio 2021

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28141 del 14 dicembre 2020, ha affermato che il concorso indetto dal datore di lavoro per ricoprire ruoli professionali che costituiscono un avanzamento di carriera realizza una “offerta contrattuale” ai destinatari del bando potenzialmente interessati.

Nell’ambito dei rapporti di lavoro privato, il datore è dunque tenuto a gestire la procedura selettiva e a individuare, di conseguenza, i dipendenti meritevoli della promozione attenendosi alle regole previste nel bando di concorso, in conformità ai principi di correttezza e buona fede che sottendono ad ogni obbligazione contrattuale, incluse quelle riferite – come nel caso in trattazione – ai rapporti di lavoro.

I fatti di causa vedono una società di gestioni sanitarie bandire una procedura di selezione interna per l’assegnazione del ruolo di caposala; l’iter selettivo, in particolare, si sviluppava in due distinte fasi: una, riguardante l’esame delle candidature e dei relativi curricula; l’altra, consistente in un colloquio attitudinale con i candidati svolto da una società terza specializzata.

A riguardo, una lavoratrice che aveva preso parte al bando agiva in giudizio al fine di conseguire pronuncia di illegittimità della procedura di selezione interna di conferimento di tale incarico, chiedendo la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale nella misura delle differenze retributive spettanti – da rimodularsi sul conseguente livello di inquadramento – nonché del pregiudizio alla professionalità.

La Corte d’Appello di Caltanissetta, riformando la decisione di primo grado, respingeva la domanda proposta dalla lavoratrice esclusa all’esito della prova attitudinale. evidenziando come la stessa risultasse attitudinalmente inidonea – nonché priva dei requisiti richiesti – rispetto al processo di selezione aziendale. Veniva dunque rilevato come, conformemente alla corretta applicazione del percorso selettivo oggetto del bando, il datore di lavoro avesse conferito l’incarico di caposala ad altro candidato in piena legittimità.

La Cassazione giungeva a confermare la pronuncia della corte territoriale, evidenziando come il bando di concorso sia correttamente esercitato qualora il datore di lavoro, attendendosi al percorso selettivo previsto, lo abbia gestito con correttezza e secondo buona fede, attendendo al percorso selettivo predeterminato.

Il bando di concorso per l’assunzione in servizio, quello per la promozione a un incarico superiore o quello per il riconoscimento di trattamenti e benefici a favore del personale – osserva la Corte – equivalgono tecnicamente a un’offerta al pubblico, la quale determina il sorgere di un’obbligazione nei confronti dei lavoratori cui la partecipazione al processo selettivo è indirizzata.

Il bando, se contiene gli elementi essenziali del contratto di lavoro alla cui conclusione è diretto, costituisce dunque offerta al pubblico ex articolo 1336 del Codice civile. A tale proposito, la norma codicistica prevede che l’offerta al pubblico valga come proposta contrattuale, se non risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.

Tale offerta ha dunque l’effetto di vincolare il datore di lavoro, facendo sì che questi – una volta avviato il procedimento – non, sia titolato a modificare il contenuto della selezione così come delineata nel bando di concorso a pregiudizio dei soggetti cui l’offerta è stata rivolta.

Su tali basi, rimarcate in più occasioni dalla giurisprudenza di merito, la Suprema Corte ha affermato che detto principio sia applicabile anche al caso di specie, rigettando le pretese della lavoratrice.


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