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Gestione Commercianti INPS: dall’imponibile contributivo devono essere esclusi i dividendi derivanti da società di capitali (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, ottobre 2023)

20 Ottobre 2023

Con la Sentenza n. 16811 del 13 giugno 2023, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che dalla base imponibile per il versamento della contribuzione previdenziale INPS per artigiani e commercianti devono essere escluse le somme percepite a titolo di dividendi dai soci di società di capitali, così come già affermato dalla pronuncia del Tribunale di Reggio nell’Emilia e confermato dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 57/2017.

Tanto premesso e a giustificazione di ciò, la Corte d’Appello aveva ribadito che, ai sensi Decreto-legge n. 384/1992, articolo 3-bis, conv. con modif. in Legge n. 438/1992, a decorrere dal 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto dai soggetti indicati dalla Legge n. 233/1990, articolo 1 – ovverosia “i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali” – era rapportato alla totalità dei redditi d’impresa, la cui nozione si trae dall’articolo 55 del TUIR, denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi si riferiscono; in tal senso, non poteva ritenersi compreso nel reddito imponibile quello derivante da capitale, come qualificato ai sensi dell’articolo 44 del TUIR, tratto dalla mera partecipazione al capitale delle società.

L’INPS, nel ricorrere presso la Corte di Cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello, ha presentato opposizione affidandosi a un solo motivo, attinente alla falsa applicazione della Legge n. 438/1992. Secondo i legali dell’istituto, la decisione dei giudici della Corte d’Appello si è basata su un’erronea interpretazione normativa, ovvero che la legge distinguerebbe le somme che rientrano ai fini dell’individuazione della base imponibile ai fini contributivi e fiscali, al fine di includere, coerentemente con la gestione solidaristica del sistema, la generalità delle somme percepite da un soggetto nella determinazione del contributo ai fini pensionistici.

Tale interpretazione normativa, però, era già stata trattata dalla Corte di Cassazione in precedenti decisioni, costituendo quindi un consolidato orientamento al quale i giudici hanno deciso di dare continuità (Cass. n. 21540 del 2019; Cass. n. 23790 del 2019; Cassazione n. 24096 del 2019; Cass. n. 29779 del 2017; Cass. n. 26958 del 2019; Cass. n. 18822 del 2021).  

La norma vigente in materia, ovverosia la già citata Legge n. 438/1992, stabilisce difatti che l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni di artigiani e commercianti è “rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi sì riferiscono”. Di conseguenza, per definire cosa si intenda per “reddito d’impresa” rilevante ai fini contributivi, è necessario fare riferimento alle norme fiscali – dunque, in primo luogo, al TUIR.

Al riguardo, argomenta la Suprema Corte, “poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi”.

Questa soluzione risulta, a dire dei giudici di legittimità, “del tutto coerente con l’impostazione del sistema come delineata dall’art. 38 Cost., comma 2, che prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori, non a coloro che si limitino ad investire i propri capitali a scopo di utile”.

Diversamente dalle società di capitali, per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale, che prevede che – a prescindere dalla fonte da cui provengano e quale che sia l’oggetto sociale – i redditi sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi (articolo 6, comma 3 del TUIR).

Questo principio è stato affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 29779 del 2017, secondo il quale ai fini della determinazione dei contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali vanno computati anche i redditi percepiti in qualità di socio accomandante, seppure diversi dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro oggetto della posizione previdenziale.

In conclusione, è stato osservato che la tendenza all’ampliamento della base contributiva deve “essere contenuta entro i limiti delineati dal legislatore, non potendo giungersi ad estendere in via analogica la portata delle relative previsioni, tra l’altro, come avverrebbe accogliendo la tesi dell’INPS, disattendendo proprio il voluto parallelismo tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale”.

Di conseguenza, a fronte di quanto esposto, la Corte ha rigettato il ricorso presentato dall’INPS e dichiarato la legittimità della decisione d’appello, decretando la compensazione delle spese processuali, confermando che, in generale, sono assoggettate a imposizione contributiva tutte le somme derivanti da attività lavorativa e costituenti redditi di impresa; diversamente, qualora esse derivino esclusivamente da attività finanziarie e quindi rientrino nella definizione di redditi da capitale, esse non saranno soggette a contribuzione previdenziale.  

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