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Mancata apposizione del termine al contratto a tempo determinato: il rapporto risulta a tempo indeterminato ab origine (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2022)

28 Febbraio 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37905 del 2 dicembre 2021, si è espressa in merito al regime sanzionatorio previsto nel caso della mancata apposizione scritta del termine al contratto di lavoro a tempo determinato.

In particolare, i fatti di causa hanno visto un lavoratore depositare un ricorso presso il Tribunale di Pescara, convenendo in giudizio il proprio ex datore di lavoro. Tale ricorso mirava ad ottenere l’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi tra le parti dal 28 febbraio 2013 al 30 marzo 2013, l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli dal datore di lavoro medesimo nell’aprile 2013, la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità dall’ultima retribuzione, oltre al risarcimento del danno parametrato alla mensilità di retribuzione globale di fatto dalla costituzione in mora fino all’introduzione del giudizio.

Il tribunale adito, con ordinanza del 17 luglio 2017, accoglieva soltanto parzialmente il ricorso: in particolare, veniva accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi, così come l’inefficacia del licenziamento orale. Il datore di lavoro, pertanto, veniva condannato a corrispondere al lavoratore ricorrente l’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità di retribuzione, oltre al risarcimento del danno quantificato in sei mensilità della retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale, in seguito, accoglieva in parte il reclamo del datore di lavoro avverso la sentenza di primo grado e, in parziale riforma della sentenza impugnata, previo accertamento della esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine, lo condannava alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno nella misura di 2,5 mensilità dall’ultima retribuzione.

Il contenzioso sfociava in Cassazione, cui entrambe le parti si appellavano per vedere tutelati i propri diritti. In particolare, il datore di lavoro denunciava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del D.Lgs n. 368/2001 (il quale prevede la nullità del rapporto di lavoro a termine in mancanza di atto scritto) e dell’art. 32, co. 5, della L. n. 183/10 (il quale normava i criteri di determinazione del risarcimento dovuto al lavoratore nei casi di conversione del contratto a tempo determinato), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il contratto a termine privo di forma scritta fosse da sanzionare con la sola indennità di cui al detto art. 32 co. 5.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso, poiché “non può ritenersi esistente (prima ancora che valido) un contratto a termine stipulato non in forma scritta, ex art. 1, co.2, D.Lgs n. 368/01 (nella specie il dedotto contratto di assunzione non venne sottoscritto da alcuna delle parti)”. A dire dei giudici, di ciò si avvede anche la sentenza impugnata, la quale ha effettivamente accertato la sussistenza ab origine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, “la cui cessazione non è sanzionata semplicemente ed affatto dall’art. 32, co. 5 L. n. 183/10 (che presuppone la conversione di un rapporto di lavoro a temine, pur illegittimo)”.

Altresì, la Cassazione osserva come la relativa indennità sia soggetta ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di conversione del rapporto – la quale, nel caso di specie, non è mai intervenuta.

Pertanto, a dire della Suprema Corte “la sentenza impugnata è affetta da un insanabile vizio di motivazione (per assoluta contraddittorietà)”: questa ha infatti affermato, per un verso, che il rapporto di lavoro dovesse considerarsi come contratto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’inizio, salvo sanzionare, per l’altro verso, il recesso del datore di lavoro col regime indennitario di cui all’art. 32, co. 5 citato in precedenza, previsto per il caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro geneticamente a termine ed illegittimo. La sentenza impugnata viene dunque cassata, sussistendo ab origine un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con rinvio alla Corte d’appello di competente in diversa composizione.


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