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La rendita vitalizia ex art. 13 L. 1338/1962: la Cassazione supera l’interpretazione dell’INPS

23 Settembre 2025

Con la sentenza n. 22802 del 2025 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno introdotto un rilevante mutamento interpretativo in materia di rendita vitalizia ex art. 13, L. 12 agosto 1962, n. 1338, superando la prassi amministrativa consolidata dell’INPS, da ultimo espressa nella Circolare n. 48/2025.

L’istituto della rendita vitalizia

La rendita vitalizia è lo strumento mediante il quale si consente la valorizzazione, ai fini pensionistici, di periodi di lavoro non coperti da contribuzione obbligatoria, in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro non più regolarizzabili per intervenuta prescrizione (art. 55 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827).

L’art. 13 della L. 1338/1962 prevede, in primo luogo, la possibilità per il datore di lavoro, che abbia omesso il versamento dei contributi obbligatori e che non possa più regolarizzare la posizione per intervenuta prescrizione, di costituire presso l’INPS una rendita vitalizia corrispondente alla pensione o alla quota di pensione spettante al lavoratore, previa esibizione di idonea documentazione attestante l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro nonché l’ammontare delle retribuzioni corrisposte (commi 1 e 4). Parallelamente, la norma attribuisce al lavoratore la facoltà di sostituirsi al datore in caso di inerzia di quest’ultimo, potendo egli stesso chiedere la costituzione della rendita e, in via residuale, anche provvedervi interamente a proprio carico, secondo quanto disposto dai commi 5 e 7.

Il legislatore del 2024, con l’art. 30 L. 203/2024, ha introdotto il comma 7, che riconosce al lavoratore una facoltà imprescrittibile di costituzione della rendita, pur senza diritto di rivalsa.

La prescrizione secondo l’INPS

Secondo l’orientamento dell’INPS, consolidato fino al 2025, il termine di prescrizione per la costituzione della rendita era unico sia per il datore di lavoro sia per il lavoratore, decorrente dal momento della prescrizione contributiva ex art. 3, comma 9, L. 335/1995 (cinque anni dal mancato versamento).

Questa impostazione, tuttavia, riduceva notevolmente le possibilità di azione del lavoratore, il quale spesso non aveva tempestiva conoscenza delle omissioni contributive, venendo di fatto pregiudicato da una decorrenza automatica ed eterodeterminata.

La decisione della Cassazione

Con la pronuncia n. 22802/2025, le Sezioni Unite hanno distinto la posizione del datore di lavoro da quella del lavoratore, affermando il seguente principio di diritto:

  • Datore di lavoro: la prescrizione resta ancorata al decorso del termine quinquennale per i contributi omessi, secondo l’impostazione tradizionale (art. 3, commi 9-10, L. 335/1995).
  • Lavoratore: il termine decennale di prescrizione per la costituzione della rendita vitalizia decorre dal momento in cui egli abbia avuto effettiva conoscenza dell’omissione contributiva e della definitiva impossibilità di regolarizzazione.

In tal modo, il termine di prescrizione a favore del lavoratore non coincide più con quello del datore, potendo collocarsi in un momento successivo e ampliando sensibilmente la tutela previdenziale.

Risarcimento del danno pensionistico

La Corte ha altresì ribadito la possibilità per il lavoratore di agire in sede civile per il risarcimento del danno pensionistico ai sensi dell’art. 2116, comma 2, c.c., con prescrizione decennale decorrente dal momento in cui il danno si manifesta, ordinariamente con il provvedimento di diniego o la liquidazione ridotta della prestazione.

La sentenza della Corte di Cassazione si discosta in maniera significativa dalla prassi amministrativa dell’INPS, riaffermando la necessità di un’interpretazione che tenga conto della peculiare posizione di debolezza informativa del lavoratore rispetto al datore di lavoro.

In definitiva, la Corte di Cassazione restituisce centralità al principio di effettività della tutela previdenziale, superando un’interpretazione formalistica e garantendo che il lavoratore non sia irragionevolmente penalizzato da omissioni contributive non conoscibili nei termini rigidi della prescrizione amministrativa.


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