Osservatorio

Corte di Giustizia Europea: i minimi retributivi tra le clausole inderogabili

27 Settembre 2021

La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 15 luglio 2021, nell’ambito di due distinti procedimenti presi in esame congiuntamente, ha osservato che non sono derogabili convenzionalmente le norme riguardanti la retribuzione minima del Paese in cui il lavoratore distaccato ha svolto abitualmente la propria attività.

Il procedimento C152/20

I fatti hanno visto due lavoratori citare il proprio datore di lavoro dinanzi al competente tribunale rumeno affinché venisse condannato a pagare la differenza tra le retribuzioni effettivamente percepite e le retribuzioni minime alle quali, a loro avviso, avrebbero avuto diritto in forza della normativa italiana relativa alla retribuzione minima stabilita dal contratto collettivo di settore.

In particolare, i lavoratori ritenevano che la normativa italiana sulla retribuzione minima fosse a loro applicabile in forza dell’articolo 8 del regolamento europeo “Roma I”. Sebbene i contratti fossero stati conclusi in Romania, era in Italia che avevano svolto abitualmente le loro funzioni. In merito, essi sostenevano che il luogo a partire dal quale avevano svolto le loro missioni, avevano ricevuto istruzioni e nel quale erano tornati al termine delle stesse, si trovava in Italia, dove, peraltro, sarebbero state effettuate la maggior parte delle attività di trasporto.

Nel resistere, il datore di lavoro osservava che:

  • i due dipendenti avevano lavorato su autocarri immatricolati in Romania e sulla base di licenze di trasporto rilasciate conformemente alla normativa rumena applicabile e
  • la comunicazione delle istruzioni e l’organizzazione attinenti all’attività svolta erano avvenute in Romania.

Il procedimento C218/20

Il procedimento principale nella causa C-218/20 verte sulla legge applicabile alla remunerazione di un conducente di autocarri rumeno, impiegato presso una società rumena, che aveva svolto la sua attività esclusivamente in Germania.

Al contratto di lavoro erano accluse due clausole:

  • una ai sensi della quale i contenuti di tale contratto erano integrati dalle previsioni della legge n. 53/2003 e
  • una in forza della quale le controversie relative ad esso dovevano essere trattate dall’organo giurisdizionale competente ratione materiae e ratione loci.

Il contratto di lavoro non menzionava esplicitamente il luogo in cui il lavoratore avrebbe dovuto esercitare la sua attività: sul punto, questi eccepiva che il luogo a partire dal quale aveva svolto le sue missioni e ricevuto le sue istruzioni era la Germania. Inoltre, lo stesso adduceva che gli autocarri utilizzati erano parcheggiati in Germania e le missioni di trasporto effettuate si erano svolte all’interno dei confini di tale Stato.

Con ricorso proposto dinanzi al giudice del rinvio, il sindacato rumeno di cui il lavoratore era membro chiedeva che il datore di lavoro fosse condannato a pagargli la differenza tra le retribuzioni effettivamente percepite e la retribuzione minima alla quale avrebbe avuto diritto in forza del diritto tedesco.

A dire del sindacato, infatti, la normativa tedesca sulla retribuzione minima si applicava al rapporto di lavoro in forza dell’articolo 8 del regolamento europeo “Roma I”. Sebbene il contratto fosse stato concluso in Romania, era in Germania che il lavoratore aveva svolto abitualmente le sue funzioni, maturando dunque il diritto a beneficiare della retribuzione minima prevista dalla normativa tedesca.

Secondo il datore di lavoro, invece, era stato specificamente pattuito che il contratto individuale di lavoro sarebbe stato regolamentato dal diritto del lavoro rumeno.

L’orientamento della Corte di Giustizia Europea

In via preliminare, la Corte ha constatato che, in entrambi i casi, non appare chiaro se i conducenti di autocarri fossero lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi oppure lavoratori che, pur non avendo tale qualità, svolgessero abitualmente la loro attività in un paese diverso da quello in cui aveva sede il datore di lavoro.

La Corte ha osservato come l’articolo 8 del regolamento Roma I stabilisca norme speciali di conflitto di leggi relative al contratto individuale di lavoro. Norme che si applicano quando, in esecuzione del contratto, il lavoro è svolto in almeno uno Stato diverso da quello della legge scelta. Il paragrafo 1 di detto articolo prevede, in particolare, che:

  • il contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti conformemente all’articolo 3 di tale regolamento e
  • tale scelta non può condurre al risultato di privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni a cui non è permesso derogare convenzionalmente in forza della legge che sarebbe applicabile al contratto in mancanza di una scelta siffatta.

Se tali disposizioni offrono al lavoratore interessato una protezione migliore rispetto a quelle previste dalla legge scelta” – ha osservato la Corte – “esse prevalgono su queste ultime mentre, mentre […] la legge scelta rimane applicabile al resto del rapporto contrattuale“.

A tal riguardo, viene rilevato che l’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento europeo “Roma I” rinvia alla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto di lavoro, svolge abitualmente la sua attività.

Il regolamento “mira quindi a garantire, nei limiti del possibile, il rispetto delle disposizioni che garantiscono la protezione del lavoratore previste dal diritto del paese in cui quest’ultimo esercita le sue attività professionali“.

La corretta applicazione del regolamento in esame implica che l’organo giurisdizionale nazionale:

  • in primis, identifichi la legge che sarebbe stata applicabile in mancanza di scelta e determini le regole alle quali, conformemente a quest’ultimo, non è permesso derogare convenzionalmente e
  • in un secondo tempo, confronti il livello di protezione di cui beneficia il lavoratore in forza di tali norme con quello previsto dalla legge scelta dalle parti. Qualora il livello previsto dalle suddette norme garantisca un migliore livello di protezione, occorrerà applicare queste stesse norme.

Nel caso di specie, il giudice del rinvio sembra ritenere che, a causa dei luoghi nei quali i conducenti hanno abitualmente svolto il loro lavoro, talune disposizioni della legge italiana e della legge tedesca relative alla retribuzione minima potrebbero, in forza dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Roma I, applicarsi al posto della legge rumena scelta dalle parti.

In merito poi alla questione se siffatte norme costituiscano disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente ai sensi di tale articolo, la Corte rileva che “dalla formulazione stessa di detta disposizione risulta che tale questione deve essere valutata conformemente alla legge che sarebbe stata applicabile in mancanza di scelta. Sarà, dunque, lo stesso giudice del rinvio a dover interpretare la norma nazionale di cui trattasi“.

Secondo la Corte, le norme relative alla retribuzione minima del paese in cui il lavoratore subordinato ha svolto abitualmente la sua attività possono, in linea di principio, essere qualificate come «disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente» in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile”, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento europeo “Roma I”.

In considerazione di quanto precede, per entrambi i procedimenti, la Corte ha dichiarato che l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento Roma I “deve essere interpretato nel senso che, qualora la legge che disciplina il contratto individuale di lavoro sia stata scelta dalle parti di tale contratto e sia diversa da quella applicabile […], si deve escludere l’applicazione di quest’ultima, ad eccezione delle «disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente» secondo la stessa, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, di detto regolamento, fra le quali possono rientrare, in linea di principio, le norme relative alla retribuzione minima“.


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