L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 168 del 26 gennaio 2023, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla determinazione del reddito di lavoro dipendente in caso di piani di incentivazione che prevedono pagamento in azioni.
La risposta a interpello è attivata da una società residente in Italia, appartenente al gruppo internazionale che fa capo a una società tedesca, le cui azioni sono state quotate in Borsa dal 2021 a seguito di un’Offerta pubblica iniziale (Ipo).
Due propri dipendenti partecipano a dei piani di incentivazione, sostanzialmente uguali, predisposti a livello internazionale da una società del gruppo a favore delle controllate, in particolare:
Al verificarsi di alcune condizioni previste dal piano, i dipendenti hanno diritto a ricevere un pagamento in contanti esercitando un’opzione (cd. esercite notes) entro determinati termini. In alternativa, la società può decidere, a discrezione, che al posto del pagamento in contanti, ai dipendenti siano assegnate azioni (cd. Share Settlement) (da consegnare entro sei settimane dalla data di esercizio dell’opzione).
In data 4 febbraio 2021 è stata eseguita l’Ipo sulle azioni della società tedesca e i due dipendenti hanno esercitato l’opzione (22 novembre 2021), maturando il diritto a ricevere il Payout in relazione alla Virtual Shares assegnate. La società tedesca ha optato per il pagamento in azioni e le stesse sono state trasferite ai due dipendenti il 15 dicembre 2021.
La società residente in Italia -datore di lavoro- a titolo prudenziale ha determinato il reddito di lavoro dipendente, relativo alla predetta operazione e applicato le ritenute d’acconto, individuando il valore normale delle azioni alla data di esercizio dell’opzione.
Ciò premesso, la società istante chiede se, nella fattispecie, considerato che al momento dell’esercizio dell’opzione (22 novembre 2021) i dipendenti avevano diritto al pagamento di una somma di denaro e che solo a seguito della decisione della società tedesca hanno ricevuto il pagamento in azioni, il valore normale delle azioni assegnate debba essere determinato sulla base della media dei prezzi delle azioni (quotate) alla data di trasferimento delle stesse (15 dicembre 2021).
Nel fornire la risposta all’istanza di interpello, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato anzitutto il quadro normativo di riferimento, partendo dall’art. 49 (Redditi da lavoro dipendente) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), in base al quale i redditi di lavoro dipendente sono quelli che «derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri».
Inoltre, ai fini della determinazione del reddito da lavoro dipendente, l’Agenzia ricorda che il successivo art. 51 del Tuir, stabilisce che «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
Sulla base di quest’ultima disposizione, viene ribadito altresì che costituiscono redditi di lavoro dipendente anche i compensi in natura, tra i quali, rientra l’assegnazione di azioni di società quotate (come nel caso di specie), il cui valore normale è determinato ai sensi dell’articolo 9, comma 4, lettera a), del Tuir.
Ciò premesso, come già chiarito in passato dalla prassi fornita dall’amministrazione finanziaria -Risoluzioni n. 29/E/2001 e n. 366/E/2007, Circolare n. 54/E/2008- nell’ambito di piani di incentivazione dei dipendenti (cd. stock option), al fine di determinare quale sia il momento in cui le azioni ricevute per effetto dell’esercizio del diritto di opzione, le azioni devono considerarsi acquisite nella disponibilità del dipendente e, conseguentemente, rilevare ai fini della tassazione in capo allo stesso.
In particolare, la circolare n. 54/2008 ha chiarito che il diritto di opzione consegue alla stipula di un contratto con il quale viene attribuito ad una parte il diritto di costituire il rapporto contrattuale definitivo mediante una nuova dichiarazione di volontà. Quindi, diversamente dalla parte vincolata (il datore di lavoro) che non è tenuta a emettere altre dichiarazioni di consenso, l’opzionario (il dipendente) per l’esercizio del diritto a lui attribuito deve manifestare espressamente la volontà di addivenire alla costituzione del contratto definitivo.
Pertanto, le azioni riservate al dipendente rientrano nella sua disponibilità giuridica, risultando ad esso assegnate, nel momento in cui egli esercita il diritto di opzione, a prescindere dal fatto che la materiale emissione o consegna del titolo (o le eventuali annotazioni contabili) avvengano in un momento successivo.
Per quanto riguarda invece la determinazione della base imponibile, con la circolare del Ministero delle Finanze 17 maggio 2000, n. 98, è stato precisato che le azioni devono essere assoggettate a tassazione per un importo pari alla differenza tra il valore normale determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir, al momento dell’esercizio del diritto di opzione, e quanto corrisposto dal lavoratore dipendente a fronte dell’assegnazione stessa.
Con riferimento alla fattispecie in esame, secondo quanto rappresentato nella risposta all’interpello n. 168/2023, secondo l’Agenzia delle Entrate la determinazione del momento in cui le azioni ricevute per effetto dell’esercizio del diritto di opzione, nell’ambito dei piani di incentivazione dei dipendenti, si determinare in base alla data in cui le stesse sono entrate nella disponibilità del lavoratore.
Pertanto, l’assegnazione di Virtual Shares ai dipendenti non dà diritto all’assegnazione di azioni della società tedesca, neppure a seguito della decisione (unilaterale) della stessa di eseguire il pagamento con assegnazione di proprie azioni, ma attribuisce ai dipendenti unicamente un diritto a ricevere un pagamento in contanti (Payout Entitlement) al verificarsi di determinati eventi contemplati dai piani di incentivazione, fra i quali l’operazione di IPO, avvenuta in data 4 febbraio 2021.
Di conseguenza, alla data di esercizio dell’opzione da parte dei due dipendenti (22 novembre 2021), gli stessi non avrebbero acquisito il diritto partecipativo ovvero la titolarità delle azioni che la società tedesca avrebbe successivamente assegnato (15 dicembre 2021), decidendo di eseguire il predetto pagamento in azioni.
Pertanto, tenuto conto che, ai fini della tassazione del reddito in capo ai dipendenti, rileva il trasferimento della titolarità delle azioni che, nel caso di specie, risulta essere avvenuta al momento della materiale consegna delle azioni, l’Agenzia Entrate ritiene che il valore normale delle azioni assegnate, ai sensi dell’art. 9 del TUIR, debba essere determinato al 15 dicembre 2021, data in cui la società tedesca ha deciso di eseguire il pagamento.
Al via una nuova task force composta dai consulenti di HR Capital e dal focus team compliance di De Luca & Partners per supportare le aziende nell’implementazione del nuovo Decreto
La nostra società lancia una nuova task force per supportare le aziende alle prese con il decreto legislativo sul Whistleblowing, che prevede l’obbligo – per i datori di lavoro – di implementare un sistema di tutela e protezione per gli autori di segnalazioni di reati e irregolarità nell’ambito di un rapporto professionale pubblico o privato.
Il decreto attuativo della Direttiva UE 2019/1937 riguardante la protezione della persone che segnalano violazioni di norme, introduce importanti misure per la prevenzione e il contrasto della corruzione, con standard di riservatezza assoluta del segnalante, delle persone coinvolte e del contenuto della segnalazione stessa estendendo l’obbligo di attivare un canale per la segnalazione degli illeciti a tutte le aziende con più di 50 dipendenti.
La task force avviata da HR Capital è una vera e propria practice dedicata e già operativa, anche in questa fase di pre-ufficializzazione del decreto. La task forceè statacreata in sinergia con i professionisti esperti di compliance dello Studio legale De Luca & Psrtners.
Il focus team nato da questa sinergia di competenze è in grado di offrire il necessario supporto legale al fine di affiancare le aziende clienti nell’adozione delle procedure necessarie a garantire la conformità aziendale alla normativa, mettendo altresì a disposizione un intuitivo sistema informatico SAAS con tutte le caratteristiche richieste per garantire l’implementazione di un sistema di segnalazione degli abusi e delle molestie sul lavoro, che rispetti la riservatezza e la protezione dei segnalatori. La task force, inoltre, prevede un servizio di monitoraggio costante per consentire alle aziende che tutte le segnalazioni eventualmente ricevute siano correttamente indirizzate e gestite.
«La Task Force realizzata insieme a De Luca & Partners è un ulteriore esempio della proattività che mettiamo a disposizione delle aziende anche quando si tratta di affiancarle per affrontare nel migliore dei modi le novità normative». dichiara Leonardo Zaffiri, Amministratore Delegato di HR Capital. «Una delle nostre caratteristiche peculiari, è la capacità di dare ai nostri clienti un servizio non solo di alta qualità, ma anche tempestivo: la creazione di questa task force va proprio in questa direzione anticipando, anche in questo caso, i tempi rispetto all’uscita del decreto. Il focus team, inoltre, sostiene anche le aziende che intendono ottenere la certificazione UNI PDR 125/2022, che richiede un sistema di segnalazione anonima degli abusi e delle molestie sul lavoro».
Con la sentenza n. 32130 del 31 ottobre 2022, la Corte Suprema di Cassazione si è espressa in merito alla quantificazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo che, a seguito del recesso, ha avuto accesso alla pensione di anzianità.
In particolare, i fatti di causa hanno visto un lavoratore, dipendente con funzioni di dirigente presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, richiedere la declaratoria di illegittimità di un decreto di detto Ministero con il quale era stato risolto il suo rapporto di lavoro a far tempo dal 4 settembre 2009, sul presupposto dell’intervenuta maturazione del requisito contributivo massimo di quaranta anni a sensi dell’articolo 72, comma 11 del D.L. 112/2008.
Il giudice del rinvio, in merito, ha osservato, sulla base del principio di diritto enunciato dalla Cassazione, che il decreto ministeriale in esame (n. 342/2009) era illegittimo; quanto ai profili risarcitori derivanti dall’illegittima risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale, nell’operarne una quantificazione, il giudice escludeva il ristoro del danno biologico e, con riguardo al danno patrimoniale, faceva riferimento, da un lato, alle retribuzioni perdute nel periodo tra il 3 settembre 2009 e il 31 ottobre 2010, data di scadenza del biennio di trattenimento in servizio, e, dall’altro, alla “maggiore indennità di buonuscita”. I relativi importi venivano quantificati da un CTU opportunamente incaricato.
A dire del giudice, non poteva invece essere riconosciuta, neanche sotto forma di perdita di chance, in difetto di esplicita domanda in tal senso, la retribuzione di risultato, atteso che essa “postula(va) una positiva verifica circa il conseguimento, da parte del dirigente, degli obiettivi prefissati”.
Senonché, dal complessivo importo spettante a titolo di risarcimento andavano decurtate le somme che il lavoratore, nel medesimo arco temporale, aveva comunque percepito come pensione d’anzianità, e ciò in quanto, mancando nella specie un dictum giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro che avrebbe reso ripetibili le somme erogate dall’INPS, a dire del giudice si sarebbe verificata, in difetto di detrazione dell’aliunde perceptum, un’indebita locupletazione del lavoratore stesso.
Rispetto alla sentenza di secondo grado sopra descritta, il lavoratore proponeva ricorso in cassazione, cui il Ministero resisteva con controricorso. Tra i vari motivi, il ricorso del dirigente verteva sulla indebita detrazione di quanto corrisposto medio tempore a titolo di pensione di anzianità dal risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, effettuata dal giudice di appello. Secondo il ricorrente, infatti, solo il compenso da lavoro percepito durante il c.d. periodo intermedio (i.e., intercorrente tra il licenziamento e la sentenza di annullamento) può comportare la riduzione del risarcimento per il principio della compensatio lucri cum damno, mentre il trattamento pensionistico non sarebbe in alcun modo ricollegabile al licenziamento illegittimo e non sarebbe detraibile anche qualora vengano, come nella specie, a cristallizzarsi gli effetti del licenziamento per effetto della mancata reintegra in servizio.
Detto motivo di ricorso è stato ritenuto fondato da parte dei giudici della Corte di Cassazione. In particolare, tra i motivi di accoglimento del ricorso, i giudici evidenziano di aver “più volte affermato il principio, da cui non v’è ragione di discostarsi, che non è detraibile come aliunde perceptum il trattamento pensionistico, potendosi considerare compensativo (quale aliunde perceptum) del danno arrecato dal licenziamento non qualsiasi reddito percepito, ma solo quello conseguito attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa”.
La Corte di Cassazione evidenzia, altresì, come le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 12194/02) abbiano, già in epoca risalente, precisato che “il diritto a pensione discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell’assicurato che abbia anteriormente perduto il posto di lavoro, né si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 28 aprile 1995, n. 4747), sicché le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola della compensatio lucri cum damno”.
Pertanto, le relative somme non possono configurarsi come “un lucro compensabile col danno”, ossia come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore, in quanto “a fronte della loro percezione sta un’obbligazione restitutoria di corrispondente importo”.
Detta compensazione, inoltre, non può riconoscersi quando “il medesimo rapporto si ponga, invece, in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, giacche’ in tali evenienze la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l’interessato all’azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto che eroga la pensione”, ossia l’INPS.
La Cassazione continua illustrando come, più di recente, le Sezioni Unite (sent. n. 12564/2018) abbiano osservato che “quando la condotta del danneggiante costituisce semplicemente l’occasione per il sorgere di un’attribuzione patrimoniale che trova la propria giustificazione in un corrispondente e precedente sacrificio, allora non si riscontra quel lucro che, unico, può compensare il danno e ridurre la responsabilità”.
Pertanto, pare sussistere una ragione giustificatrice che non consente il computo della pensione di reversibilità in differenza alle conseguenze negative che derivano dall’illecito, poiché detto trattamento previdenziale “non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde a un diverso disegno attributivo causale, che si pone quale causa del beneficio individuabile nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurano come serie causale indipendente”.
La perdita di interesse del lavoratore alla ricostituzione del rapporto, anche de facto, mediante un provvedimento di reintegra e per effetto del raggiungimento del termine biennale di trattenimento in servizio, non esclude che vi sia la prosecuzione de iure dello stesso, considerato l’accertamento giudiziale dell’illecita risoluzione del rapporto. Dal ciò consegue – a dire della Suprema Corte e unitamente alla responsabilità risarcitoria del datore di lavoro, sul quale permane l’obbligo contributivo – la ripetibilità delle somme erogate nel biennio di riferimento a titolo pensionistico da parte dell’INPS. È seguito, pertanto, l’accoglimento del motivo di ricorso avanzato dal lavoratore da parte della Corte di Cassazione.
Il lavoro agile, meglio conosciuto come “smart working”, si è dimostrato uno strumento molto utilizzato nell’ambito della pandemia di Covid-19, soprattutto sotto il profilo del rispetto delle prassi di distanziamento interpersonale e della tutela dei soggetti “fragili”.
Terminato, in data 31 dicembre 2022, il periodo c.d. “emergenziale”, che aveva garantito un ricorso semplificato al lavoro agile, torna a tutti gli effetti in vigore la disciplina ordinaria, prevista dall’art. 18 della L. n. 81/2017.
In particolare, dal 1° gennaio 2023 è nuovamente obbligatorio procedere alla stipula di un accordo individuale di lavoro agile con ciascun lavoratore destinatario delle previsioni di smart working
Lavoro agile e accordo individuale
Giova ricordare come per lavoro agile debba intendersi una modalità di lavoro che prevede, una volta raggiunto l’accordo tra lavoratore e datore di lavoro, l’organizzazione del lavoro per cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di luogo di lavoro e di orario, purché nel rispetto dei riposi previsti dal D.Lgs. n. 66/2003.
L’accordo di lavoro agile, ai fini della prova, deve essere stipulato per iscritto e deve contenere i seguenti elementi:
Lavoratori genitori di figli, disabili e “caregivers”
Il venir meno del lavoro agile “semplificato” ha comportato delle conseguenze sia per i lavoratori con figli che per i soggetti “fragili”. Al riguardo, in particolare, è al 31 dicembre 2022 è scaduta, per i lavoratori con figli sotto i 14 anni di età, la possibilità di eseguire la prestazione in modalità agile senza accordo individuale. Rimane, invece, per i lavoratori con le patologie previste dal D.M. del 4 febbraio 2022 classificati come “fragili”, la possibilità di svolgere la prestazione agile in modalità “emergenziale”, ossia senza accordo individuale, fino al 31 marzo 2023.
Il regime ordinario prevede, inoltre, che le seguenti categorie di lavoratori abbiano la priorità nell’accesso al lavoro agile:
Modalità e tempi della comunicazione obbligatoria
Devono essere comunicati entro cinque giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, tramite la piattaforma cliclavoro.gov.it, i nominativi dei lavoratori che svolgono la prestazione di lavoro in modalità agile. A tal fine, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha previsto una nuova procedura di invio massivo, tramite un file Excel messo a disposizione dalla piattaforma.
L’omessa o tardiva trasmissione della comunicazione comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative ai danni del datore di lavoro.
Infine, per i lavoratori fragili svolgenti la prestazione di smart working senza accordo individuale con scadenza entro il 31 marzo 2023, è previsto l’invio della comunicazione obbligatoria in modalità “semplificata” entro il 31 gennaio 2023. Dopo tale data, stante l’attuale normativa, sarà necessario utilizzare la modalità ordinaria.
In data 29 dicembre 2022 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 197/2022, rubricata “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025” (di seguito, “Legge di Bilancio”). La nuova disposizione legislativa è intervenuta in materia di previdenza sociale prorogando la possibilità di ricorrere ad alcuni istituti e graduando l’utilizzo di altri, in attesa della riforma del sistema che dovrebbe intervenire dal 2024.
Pensione anticipata “Quota 103”
Con l’articolo 14 del D.L. n. 4/2019, successivamente convertito in L. n. 26/2019, a decorrere dal 2019 e fino al 31 dicembre 2021, in via sperimentale, è stata introdotta la possibilità di accedere alla pensione anticipata con il sistema di “Quota 100”, in presenza di 38 anni di contribuzione e 62 anni di età. Successivamente, per l’anno 2022, il predetto requisito è stato elevato di due anni e il pensionamento anticipato con il sistema delle quote poteva essere perfezionato entro il 31 dicembre 2022 con “Quota 102”, stante il requisito di età anagrafica innalzato a 64 anni in luogo dei precedenti 62 anni.
Dal 2023, per la durata sperimentale di un anno, la Legge di Bilancio ha introdotto la pensione “Quota 103”, in sostituzione di Quota 102, a favore degli assicurati a tutte le gestioni previdenziali, ad esclusione degli iscritti alle Casse previdenziali dei professionisti, che perfezionino un’età di almeno 62 anni e maturino un’anzianità contributiva di almeno 41 anni, con la possibilità di conseguire tali requisiti entro la fine dell’anno.
I destinatari di questa disposizione sono tutti i lavoratori dipendenti o autonomi iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (“AGO”), nelle forme esclusive e sostitutive della stessa gestite dall’INPS – ovverosia spettacolo, sportivi professionisti ex ENPALS e giornalisti ex INPGI – e i soggetti iscritti alla Gestione Separata. La contribuzione utile al raggiungimento dei 41 anni di anzianità contributiva è quella accreditata alle precedenti gestioni sopra esposte, anche in regime di cumulo, fermo restando l’ulteriore requisito dei 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione, dai quali sono esclusi i periodi di malattia e disoccupazione.
Per i soggetti in possesso dei requisiti previsti, a seguito di richiesta, la regola generale è che la decorrenza utile del trattamento è fissata al primo giorno del mese successivo all’apertura della c.d. “finestra”, che, a sua volta, si apre trascorsi tre mesi dal perfezionamento dei requisiti. In particolare:
È bene precisare che la normativa prevede che l’importo dell’assegno erogato per la pensione anticipata non potrà risultare superiore a cinque volte il trattamento minimo previsto. Pertanto, l’importo mensile lordo massimo che potrà essere erogato non potrà eccedere l’importo di Euro 2.818,70. Solo al raggiungimento del requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia, attualmente previsto al conseguimento del 67° anno di età, l’importo in pagamento sarà adeguato all’ammontare effettivamente maturato al momento dell’accesso a “Quota 103”.
Infine, così come già disposto in passato, la previsione normativa ha previsto che l’assegno di pensione anticipata sia incumulabile, dal giorno della decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi di lavoro autonomo e dipendente conseguiti anche all’estero, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.
Opzione donna
Contrariamente a quanto previsto in tema di Quota 103, l’entrata in vigore della Legge di Bilancio ha radicalmente modificato le regole di accesso a Opzione donna rispetto a quelle in vigore nel 2022.
La Legge di Bilancio ha stabilito, infatti, di non prorogare tale modalità di uscita dal lavoro negli stessi termini della precedente proroga, cioè con 35 anni di contribuzione più un’età anagrafica di 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 anni per quelle autonome, ma ha modificato il requisito anagrafico ed introdotto ulteriori requisiti soggettivi.
Per quanto concerne il requisito anagrafico, secondo le nuove disposizioni, possono accedere a opzione donna le lavoratrici che abbiano maturato, entro il 2022, almeno 35 anni di contributi e almeno 60 anni di età anagrafica. Il nuovo testo normativo ha semplificato i requisiti anagrafici previsti eliminando il differente requisito d’età a seconda che il soggetto richiedente fosse una lavoratrice autonoma o dipendente. Inoltre, è stato previsto che il requisito anagrafico possa essere ridotto a 59 anni in presenza di almeno un figlio e a 58 anni in caso di almeno due figli.
La grande novità introdotta dalla Legge di Bilancio è che, anche in caso di possesso dei requisiti di anzianità contributiva e d’età, è fatto obbligo per le richiedenti rientrare in una delle seguenti categorie:
Permangono le modalità di calcolo precedentemente applicate le quali prevedevano che, ai fini della determinazione dell’importo mensile dell’assegno di pensione verranno applicati i criteri di calcolo contributivo anche se, per anzianità, le richiedenti avrebbero diritto al metodo misto. Ai fini dell’effettiva percezione dell’assegno mensile, tra la maturazione del diritto e la decorrenza della pensione devono trascorrere 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 per quelle che hanno contributi anche o solo come autonome.
Con la sentenza n. 30167 del 13 ottobre 2022, la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un datore di lavoro a seguito del riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo inflitto ad un lavoratore.
La Corte distrettuale, inoltre, aveva rilevato che al lavoratore fosse stata assegnata una mansione riconducibile ad un livello di inquadramento inferiore rispetto alla propria qualifica, in violazione dell’art. 2103 del Codice civile.
In particolare, i fatti di causa hanno visto un lavoratore che, da capoturno di pattuglie di guardie giurate, veniva licenziato a seguito della perdita di un appalto.
I motivi su cui si è basata la decisione della Suprema Corte si trovano nella “manifesta insussistenza” del fatto che ha originato il licenziamento, il quale – a seguito dell’istruttoria svolta nei diversi gradi di giudizio – non è risultato legato da un nesso causale alla soppressione del posto di lavoro cui il lavoratore è stato assegnato in forza di un atto nullo. A fronte di ciò, ha trovato applicazione la tutela reintegratoria, come previsto dal comma 7 dell’art. 18 della legge n. 300/1970 e l’azienda è stata condannata, inoltre, al pagamento delle spese della lite.
Il datore di lavoro ha presentato ricorso articolato per sei motivazioni, le quali hanno riguardato principalmente la “manifesta insussistenza” del fatto e l’eccessiva onerosità della reintegrazione, prevista dal menzionato articolo 18.
In particolare, l’azienda ha denunciato la violazione, da parte della Corte distrettuale, del principio di diritto espresso dalla Cassazione in sede di annullamento con riguardo alla ricostruzione ermeneutica del concetto di “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento (ai sensi dell’art. 18, comma 7 della legge n. 300 del 1970), la quale sarebbe stata effettuata “senza l’indagine sia sulla “evidente e facilmente verificabile” carenza del nesso di causalità tra assegnazione (nulla) alla postazione e successiva soppressione del posto sia sulla eccessiva onerosità della reintegrazione”.
La ricorrente, inoltre, ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti, avendo la Corte distrettuale trascurato – ai fini della valutazione della “eccessiva onerosità della reintegrazione” – che presso la centrale operativa cui il lavoratore era addetto non vi erano posizioni di capoturno disponibili e che in base alla declaratoria del 3° livello di cui al CCNL Vigilanza non potevano essere più assegnate mansioni di capoturno.
Tanto rappresentato dall’azienda ricorrente, la Suprema Corte ha comunque ritenuto infondati i diversi motivi di ricorso. In particolare, questa ha illustrato come l’art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970 – che regola l’apparato sanzionatorio da applicare in caso di accertamento della illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – sia stato “inciso da due recenti sentenze della Corte costituzionale, successive alla pronuncia rescindente, proprio con riguardo ai requisiti per l’applicazione della tutela reintegratoria”.
In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 59 del 1° aprile 2019, ha dichiarato l’illegittimità del comma 7 dell’art. 18 della legge n. 300/1970, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma; la sentenza n. 125 del 2022, altresì, ha dichiarato l’illegittimità del medesimo comma ove si prevede l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, limitatamente al termine “manifesta”.
In virtù di quanto espresso dalla Corte costituzionale, la Cassazione ha evidenziato che laddove il giudice accerti l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, debba essere sentenziato l’annullamento del licenziamento e ordinata la reintegrazione del lavoratore, “senza alcuna facoltà di scelta tra tutela ripristinatoria e tutela economica”. Pertanto, l’apprezzamento della sussistenza dei vizi denunciati con il ricorso dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità.
Sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato che la valutazione della fondatezza o meno del ricorso per cassazione deve farsi con riferimento “alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del giudice delle leggi, atteso che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo”.
Posto che i primi cinque motivi di ricorso vertono tutti sulla ricorrenza di due requisiti attinenti al regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo non sono più vigenti, i suddetti motivi sono stati rigettati.
La Corte distrettuale ha, inoltre, rilevato che l’accertamento circa la illiceità del fatto posto a fondamento con il recesso era da ritenersi definitivo, in quanto deve ritenersi totalmente insussistente il fatto materiale che ha determinato il licenziamento dipendente, posto come non vi sia stata una lecita adibizione dello stesso all’appalto, non potendo perciò un fatto illecito essere posto a fondamento, in un vincolo di causalità, con il recesso per giustificato motivo oggettivo.
In altre parole, il fatto “perdita dell’appalto” – a dire della Suprema Corte – non può giustificare il licenziamento del lavoratore che non poteva esservi assegnato. Da questo è conseguita la piena integrazione dell’unico requisito richiesto dall’art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970 (nel testo a seguito dei due interventi della Corte costituzionale) per l’applicazione della tutela reintegratoria.
Il datore di lavoro è stato dunque condannato a pagare a favore del lavoratore indennità e contributi dovuti per il periodo intercorso tra la risoluzione del rapporto e la reintegrazione effettiva, fino a un massimo di dodici mensilità.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha emanato il Decreto 20 ottobre 2022, riguardante l’esonero contributivo per le aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere e ulteriori interventi per la promozione della parità salariale di genere e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in attuazione della Legge n. 162/2021, articolo 5, comma 2, e dell’art. 1, comma 138,Legge n. 234/2021.
Al fine di attuare le disposizioni contenute negli articoli precedentemente richiamati, il decreto in esame ha definito:
Il decreto, all’articolo 2, prevede che le aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere, a partire dal 2022, possano beneficiare di un esonero contributivo così come disciplinato dagli articoli 3 e 4 del testo in esame. L’esonero potrà essere applicato per tutta la durata del periodo di validità della predetta certificazione.
Il beneficio, per i datori di lavoro, consiste nella possibilità di fruire di una riduzione nella misura dell’1% dei complessivi contributi previdenziali a proprio carico, fermo restando il limite massimo di Euro 50.000,00 su base annua. Qualora, in relazione ad un copioso numero di domande presentate, le risorse stanziate dovessero risultare insufficienti, il beneficio riconosciuto alle aziende sarebbe proporzionalmente ridotto.
Lo sgravio contributivo, secondo le disposizioni contenute nel decreto, sarà riparametrato su base mensile e fruito dai datori di lavoro in riduzione dei contributi previdenziali a loro carico, sulle mensilità relative al periodo di validità della certificazione della parità di genere. La validità della certificazione ha durata triennale ed è soggetta a monitoraggio annuale da parte di INPS. È bene precisare che le rappresentanze sindacali aziendali e i consiglieri e le consigliere di parità potranno, in base al D.M. del 29 aprile 2022, segnalare all’organismo di certificazione eventuali criticità riscontrate nell’azienda certificata.
Secondo quanto previsto dall’articolo 3, ai fini dell’ammissione all’esonero le aziende del settore privato, per il tramite del rappresentante legale o di un intermediario delegato, dovranno presentare domanda telematica all’INPS secondo le modalità operative che verranno poi indicate dall’Ente mediante specifiche istruzioni.
Le domande dovranno contenere le informazioni riguardanti:
È bene precisare che, nel caso in cui sia disposta la revoca della certificazione, le imprese interessate saranno tenute a darne tempestiva comunicazione all’INPS e al Dipartimento per le pari opportunità.
Qualora un’impresa dovesse beneficiare indebitamente dell’esonero contributivo, questa sarà tenuta al versamento dei contributi non dovuti a fronte della riduzione contributiva, nonché al pagamento delle sanzioni previste dalle disposizioni di legge in materia. Resta salva l’eventuale responsabilità penale ove il fatto costituisca reato.
L’Elemento di Garanzia Retributiva, pari a Euro 300,00 lordi uguale per tutti i lavoratori, va erogato con la retribuzione dei mesi di gennaio di ogni anno ai lavoratori in forza il 1° gennaio di ogni anno ed aventi titolo in base alla situazione retributiva individuale rilevata nell’anno precedente, con assorbimento fino a concorrenza del valore dell’E.G.R. di quanto individualmente erogato.
Le Parti si impegnano ad istituire una Cassa rischio vita in favore degli Operai Agricoli a Tempo Indeterminato attraverso apposito accordo da definirsi entro il 31 dicembre 2022.
La prestazione – che verrà riconosciuta per gli eventi verificatisi a decorrere dal 1° gennaio2023 – avrà natura sperimentale. L’accordo dovrà definire i requisiti e le condizioni per l’accesso alle prestazioni, la misura dell’indennità, la copertura assicurativa e il coordinamento con le prestazioni già erogate dal Fisa.
Le aziende che non realizzano la contrattazione del premio per obiettivi di cui all’art. 55 del C.C.N.L., erogano, a titolo di indennità per mancata contrattazione di secondo livello a favore dei lavoratori dipendenti, gli importi di cui alla tabella riportata nel testo del CCNL.
Tali importi, erogati a partire dal 1° gennaio 2023 per 12 mensilità, assorbono fino a concorrenza eventuali erogazioni svolgenti funzione analoga agli istituti di cui sopra.
In sostituzione delle soppresse festività di cui alla L. 5.3.1977, n. 54 e del relativo trattamento, ai lavoratori spettano, nel corso di ciascun anno, quattro giorni di permesso individuale retribuito non frazionabile, salvo quanto previsto al successivo paragrafo. A far data dal 1° gennaio 2023, nell’ottica di agevolare la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro, anche come strumento di maggiore attrattività verso il personale neoassunto, ai soli lavoratori con anzianità di servizio fino a 8 anni è consentita la frazionabilità in ore, per periodi comunque non inferiori ad un’ora, di uno dei suddetti quattro giorni di permesso individuale retribuito.
Allo scopo di sviluppare il sistema di Welfare contrattuale, con decorrenza dal 1° gennaio 2023, il contributo annuo a carico azienda per il finanziamento del Fondo T.P.L. Salute è pari a Euro 144,00 (Euro 12,00/mese, comprensive del contributo annuo stabilito dall’art. 38 lett. b) dell’A.N. 28 novembre 2015) per ogni lavoratore in forza a tempo indeterminato, ivi compresi gli apprendisti.
Le Parti, riconoscono l’Ente Nazionale per l’Istruzione Professionale Grafica (Enipg) quale organismo atto a provvedere allo studio, alla promozione e al coordinamento delle iniziative dirette a favorire lo sviluppo tecnico e professionale del settore. A decorrere da gennaio 2022 viene istituto un contributo di assistenza contrattuale. Le aziende del settore cartotecnico sono tenute all’iscrizione a decorrere da gennaio 2022.
Al contributo non sono tenute le aziende cartarie e del converting del tissue.
A decorrere dal 1° gennaio 2023, in favore dei lavoratori dipendenti iscritti al Fondo Byblos, è riconosciuto un contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro pari allo 0,3% della normale retribuzione annua.
Con decorrenza dal 1° gennaio 2023, verranno applicate le nuove percentuali in caso di lavoro straordinario notturno.
Con riferimento agli addetti all’industria delle imprese produttrici di ceramica sanitaria, di porcellane e ceramiche per uso domestico e ornamentale, di ceramica tecnica, di tubi in gres con rapporti di lavoro disciplinati sino al 13 marzo 2008 dal contratto collettivo per gli addetti all’industria chimica (si veda Capitolo VII – Parte IX -”Welfare di settore” – “Previdenza Complementare”) – le Parti concordano che l’ammontare dell’aliquota di contributo a Foncer per la sola parte a carico del datore di lavoro – come disciplinata nel CCNL 16 novembre 2016 cui si rinvia – sia incrementato dello 0,1% a decorrere dal 1° gennaio 2022 e di un ulteriore 0,1% dal 1° gennaio 2023, da calcolarsi sulla retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR.
L’Elemento di garanzia retributiva sarà pari a Euro 8,00 (otto/00) mensili a decorrere dal 1° gennaio 2023.
A decorrere dal 1° gennaio 2023 al dirigente viene riconosciuta, attraverso apposita polizza assicurativa, con premio a carico del datore di lavoro e con un limite massimo di Euro 70,00 annui, la copertura delle spese legali sostenute in caso di procedimenti penali relativi a fatti direttamente connessi con l’esercizio delle funzioni attribuite, non dipendenti da colpa grave o dolo.
Il contributo annuo a carico dell’impresa che aderisce a forme alternative per l’assistenza dei dirigenti in servizio (contributo ex art. G) è elevato a Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) a decorrere dal 2023.
A partire dal 1° gennaio 2023 viene estesa a tutti i lavoratori l’assicurazione contro il rischio di responsabilità civile verso terzi nello svolgimento delle proprie mansioni contrattuali. Da tale copertura assicurativa sono esclusi i casi di dolo o colpa grave del dipendente.
Il lavoratore ha diritto, per ogni anno di servizio, ad un periodo di riposo proporzionale ai mesi di servizio prestati nell’anno. A partire dal 1° gennaio 2023, al dipendente spetteranno (i) 20 giorni lavorativi, se con anzianità fino a 6 anni compiuti e (ii) 1 giorno lavorativo per ogni anno di anzianità oltre i 6 anni fino ad un massimo di 24 giorni lavorativi.
A partire da gennaio 2023, il preavviso nei confronti dei lavoratori in possesso dei requisiti previsti dalla legge per il pensionamento di vecchiaia è pari ad 8 giorni di calendario.
A decorrere dal 1° gennaio 2023, le Aziende versano ai Fondi di previdenza complementare di competenza operanti nel settore, ad incremento della misura della contribuzione a carico Azienda, un importo aggiuntivo in misura fissa pari a Euro 3,00 per ogni mensilità.
Con decorrenza dalla data del 1° gennaio 2021, anche a integrale copertura del periodo trascorso a titolo di carenza contrattuale 2019-2021, in favore del personale in forza nelle aziende associate nel mese di dicembre 2021, la retribuzione tabellare lorda riferita al parametro B1 è incrementata dell’importo di euro 65,00 lordi mensili, da riparametrare sulla base della scala applicata e a cui detrarre l’I.V.C. già corrisposta dalle aziende. Le Parti convengono che gli arretrati derivanti dall’incremento retributivo sopra richiamato, saranno erogati dalle aziende associate in favore dei lavoratori con le seguenti modalità temporali: (i) 1/3 degli arretrati a gennaio 2023; (ii) 1/3 degli arretrati con lo stipendio di marzo 2023; (iii) 1/3 degli arretrati con lo stipendio di maggio 2023.
Le Società del Gruppo FS Italiane assicureranno tutto il personale dipendente alla forma di assistenza sanitaria integrativa, ivi compresa la tutela del reddito per i lavoratori riconosciuti inidonei in via definitiva dalla struttura competente di R.F.I. (Direzione Sanità) alle mansioni per cui erano stati assunti od a cui erano stati successivamente adibiti, per infortunio sul lavoro o malattia professionale o a causa di gravi patologie, che sarà individuata entro il 31 dicembre 2022, tra i soggetti su scala nazionale che garantiranno la migliore offerta di prestazioni a fronte di un contributo aziendale per ciascun lavoratore stabilito in euro 300,00 per anno, a decorrere dal 1° gennaio 2023.
Il Fondo Eurofer è il fondo di previdenza complementare per i lavoratori delle Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. A far data dal 1° gennaio 2023, il contributo a carico del datore di lavoro e del lavoratore associato è dovuto nella misura di: (i) 1% a carico del lavoratore e (ii) 2% a carico del datore di lavoro.
In attuazione del comma 2 dell’art. 37 (Welfare) del C.C.N.L. Mobilità/Area AF, le Società del Gruppo FS Italiane destinano la somma annua di Euro 100,00 di costo aziendale al Fondo Eurofer, per ogni lavoratore occupato a tempo indeterminato, compresi i lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante.
A decorrere dal 1° gennaio 2023 sono previste modifiche alla disciplina contrattuale da applicare ai contratti di lavoro in apprendistato stipulati a partire dal 1° gennaio 2023.
Dal 1° gennaio 2023 l’impegno di reperibilità è limitato a 10 giorni/mese di servizio pro-capite. I compensi sono maggiorati del 15% per le giornate eccedenti il decimo giorno/mese. Semestralmente viene attivata una verifica con la R.S.U. sulle eccedenze medie. Nei confronti del personale reperibile che di norma svolge la propria attività da remoto utilizzando gli strumenti aziendali, senza doversi recare sul luogo dell’intervento, viene riconosciuto un importo aggiuntivo per ciascuna giornata di reperibilità pari a Euro 5,00 che si eleva a Euro 6,00 dal 1° gennaio 2023.
L’Elemento di Garanzia Retributiva è pari a Euro 230,00 lordi annui per gli anni 2021 e 2022 e di Euro 250,00 lordi annui per l’anno 2023, uguale per tutti i lavoratori. Va erogato, al più tardi, con la retribuzione del mese di gennaio 2022, gennaio 2023 e gennaio 2024 ai lavoratori in forza al 1° gennaio di ogni anno ed aventi titolo in base alla situazione retributiva individuale rilevata nell’anno precedente, con assorbimento fino a concorrenza del valore dell’E.G.R. di quanto individualmente erogato.
Fino al 31 dicembre 2022 trova applicazione il Contratto sottoscritto tra le Parti in data 8 marzo 2017. Il Contratto 16/11/2022 ha validità dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2026. Alla sua scadenza le Parti procederanno alla rinnovazione del contratto quadriennale.
Per il fondo Byblos l’aumento della contribuzione a carico aziende per i lavoratori aderenti che non hanno l’ERC è previsto nella misura dello 0,5 a decorrere da gennaio 2023.
Dal 1° gennaio 2023 è fissato in Euro 65,00 ovvero euro 5,00 mensili per 13 mensilità, il contributo annuo a carico di ogni dipendente al Fondo di accompagno all’esodo.
A decorrere dal 1° gennaio 2023 l’importo dell’elemento di garanzia retributiva è di Euro 210,00 lordi annui.
A decorrere dal 1° gennaio 2023, le aziende verseranno al Fondo Previambiente una quota contributiva ulteriore in cifra fissa di Euro 5,00 per 12 mensilità, destinata esclusivamente alla copertura assicurativa dei casi di premorienza ed invalidità permanente certificata dagli enti competenti che comporti cessazione del rapporto di lavoro, che il Fondo è impegnato a realizzare in favore di tutti i lavoratori aderenti cui si applica il presente CCNL.
1° gennaio 2023, le aziende verseranno al Fondo Previambiente una quota contributiva ulteriore in cifra fissa di Euro 5,00 per 12 mensilità, destinata esclusivamente alla copertura assicurativa dei casi di premorienza ed invalidità permanente certificata dagli enti competenti che comporti cessazione del rapporto di lavoro, che il Fondo è impegnato a realizzare in favore di tutti i lavoratori aderenti cui si applica il presente CCNL.
Allo scopo di sviluppare il sistema di Welfare contrattuale, con decorrenza dal 1° gennaio 2023, il contributo annuo a carico dell’azienda per il finanziamento del Fondo T.P.L. Salute è pari a Euro 144,00 (12,00/mese, comprensive del contributo annuo stabilito dall’art. 67 del C.C.N.L. 26 luglio – 14 settembre 2018), per ogni lavoratore in forza a tempo indeterminato non in prova, ivi compresi gli apprendisti.
A partire dal 1° gennaio 2023, l’articolo 51 bis del CCNL prevede la sostituzione della tabella del contratto Alimentare relativa al trattamento economico per mancata contrattazione di secondo livello.
Le aziende a decorrere dal 1° gennaio 2023, sono tenute, al primo gennaio di ogni anno, a mettere a disposizione dei lavoratori, che abbiano superato il periodo di prova, strumenti di welfare per un importo annuo pari ad Euro 100,00 da utilizzare entro il 30 novembre dell’anno successivo. Tale importo va proporzionalmente ridotto in caso di contratto part-time ed in base ai mesi di anzianità di ogni lavoratore nel periodo intercorrente dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno precedente. I lavoratori avranno la possibilità di destinare l’importo suddetto al Fondo di Previdenza Complementare Intersettoriale.
Al lavoratore chiamato a prestare la propria opera in trasferta sia impossibilitato a consumare il pasto nelle ore comprese tra le 12 e le 15 e/o le 19 e le 22, in sostituzione del piè di lista, è riconosciuto un concorso spese di complessive di Euro 13,00 per ogni pasto. Tale indennità è pari ad Euro 15,00 dal 1° gennaio 2023.
Anche a favore dei Dirigenti compresi nella sfera d’applicazione del presente Contratto, è operante il Welfare Contrattuale, come previsto dal presente CCNL, con costo minimo dal 2023 di Euro 720,00/anno.
L’Elemento di Garanzia Retributiva, pari a Euro 300 lordi uguale per tutti i lavoratori, va erogato con la retribuzione dei mesi di gennaio di ogni anno ai lavoratori in forza il 1° gennaio di ogni anno ed aventi titolo in base alla situazione retributiva individuale rilevata nell’anno precedente, con assorbimento fino a concorrenza del valore dell’E.G.R. di quanto individualmente erogato.
A partire dal 2023, il datore di lavoro erogherà al lavoratore, entro il 31 dicembre di ogni anno, il Welfare Contrattuale pari ai valori riportati nel testo del CCNL di riferimento.
A decorrere dal 1° gennaio 2023 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Nel mese di gennaio 2023 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” per i dipendenti i cui rapporti di lavoro sono disciplinati dai seguenti CCNL:
L’emanazione del Decreto legislativo n. 105/2022 (c.d. “Decreto Equilibrio”), in attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, ha previsto novità in tema di congedi familiari. In particolare, sul punto, la nota n. 2414 del 6 dicembre 2022 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha adeguato il regime sanzionatorio ai nuovi obblighi imposti ai datori di lavoro in tema di fruizione di congedi familiari da parte dei dipendenti.
Tra le varie misure, l’articolo 27 del decreto in argomento riconosce ai neo-padri un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro pari a 10 giorni lavorativi (raddoppiati in caso di parto gemellare), con retribuzione al 100% a carico di INPS. Tale periodo deve esser richiesto al datore di lavoro per iscritto e con un preavviso non inferiore a cinque giorni, salvo condizioni di miglior favore previste dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.
Sono inoltre state previste ulteriori misure relative all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, allo scopo di ottimizzare la conciliazione tra i due detti ambiti e di conseguire una più equa condivisione delle responsabilità e dei compiti di cura tra uomini e donne, promuovendo una effettiva parità di genere sia in ambito lavorativo che familiare e favorendo il superamento degli stereotipi.
Le disposizioni contenute nel decreto sopra menzionato, nelle intenzioni del legislatore, costituiscono dunque una riforma organica delle tutele e dei diritti preesistenti in materia di cura dei familiari e di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, attuata mediante l’aggiornamento, il riordino e l’innovazione dell’assetto normativo sul tema.
L’INL, nella sua nota, ha illustrato che, in caso di ostacolo o rifiuto da parte del datore di lavoro nel far usufruire dei congedi ai lavoratori, trovi applicazione una sanzione ammnistrativa da 516,00 Euro a 2.582,00 Euro. Inoltre, la violazione potrebbe costituire per il datore di lavoro un impedimento per l’ottenimento della certificazione di parità di genere.
In caso di ostacolo o rifiuto da parte del datore di lavoro di far usufruire al padre del congedo alternativo per le gravi situazioni (es. morte della madre), è punito con la sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi e con il mancato conseguimento della certificazione di parità di genere.
Per la violazione del divieto di licenziamento da parte del datore di lavoro del neo-padre fino al complimento dell’anno del bambino, oltre che la nullità del licenziamento e tutto ciò che comporta, si applica la sanzione amministrativa da 1.032,00 Euro a 2.582,00 Euro. Si applica la medesima sanzione ammnistrativa nel caso in cui sia violato il diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Scatta, infine, la sanzione amministrativa da 516,00 Euro a 2.582,00 Euro nei casi di inosservanza dei riposi giornalieri per madre e padre, nonché per i figli portatori di handicap.
Viene precisato dall’INL che, nel regime transitorio per le nascite avvenute prima del 13 agosto 2022 (data di entrata in vigore del decreto in esame), valgono le tutele previste dal decreto per il diritto all’erogazione dell’indennità di mancato preavviso in caso di dimissioni entro l’anno del bambino e il divieto di licenziamento.
Vengono estesi, inoltre, i diritti di assistenza previsti per il coniuge e gli affini anche ai conviventi di fatto e alle unioni civili, previsti dalla Legge 104/1992.
La nota chiarisce, infine, che la richiesta dei congedi previsti di diritto da parte dei lavoratori, deve essere compatibile con il funzionamento ordinario dell’impresa, coordinandosi altresì con le esigenze della parte datoriale.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha emanato il Decreto 20 ottobre 2022, riguardante l’esonero contributivo per le aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere e ulteriori interventi per la promozione della parità salariale di genere e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in attuazione della Legge n. 162/2021, articolo 5, comma 2, e dell’art. 1, comma 138,Legge n. 234/2021.
Al fine di attuare le disposizioni contenute negli articoli precedentemente richiamati, il decreto in esame ha definito:
Il decreto, all’articolo 2, prevede che le aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere, a partire dal 2022, possano beneficiare di un esonero contributivo così come disciplinato dagli articoli 3 e 4 del testo in esame. L’esonero potrà essere applicato per tutta la durata del periodo di validità della predetta certificazione.
Il beneficio, per i datori di lavoro, consiste nella possibilità di fruire di una riduzione nella misura dell’1% dei complessivi contributi previdenziali a proprio carico, fermo restando il limite massimo di Euro 50.000,00 su base annua. Qualora, in relazione ad un copioso numero di domande presentate, le risorse stanziate dovessero risultare insufficienti, il beneficio riconosciuto alle aziende sarebbe proporzionalmente ridotto.
Lo sgravio contributivo, secondo le disposizioni contenute nel decreto, sarà riparametrato su base mensile e fruito dai datori di lavoro in riduzione dei contributi previdenziali a loro carico, sulle mensilità relative al periodo di validità della certificazione della parità di genere. La validità della certificazione ha durata triennale ed è soggetta a monitoraggio annuale da parte di INPS. È bene precisare che le rappresentanze sindacali aziendali e i consiglieri e le consigliere di parità potranno, in base al D.M. del 29 aprile 2022, segnalare all’organismo di certificazione eventuali criticità riscontrate nell’azienda certificata.
Secondo quanto previsto dall’articolo 3, ai fini dell’ammissione all’esonero le aziende del settore privato, per il tramite del rappresentante legale o di un intermediario delegato, dovranno presentare domanda telematica all’INPS secondo le modalità operative che verranno poi indicate dall’Ente mediante specifiche istruzioni.
Le domande dovranno contenere le informazioni riguardanti:
È bene precisare che, nel caso in cui sia disposta la revoca della certificazione, le imprese interessate saranno tenute a darne tempestiva comunicazione all’INPS e al Dipartimento per le pari opportunità.
Qualora un’impresa dovesse beneficiare indebitamente dell’esonero contributivo, questa sarà tenuta al versamento dei contributi non dovuti a fronte della riduzione contributiva, nonché al pagamento delle sanzioni previste dalle disposizioni di legge in materia. Resta salva l’eventuale responsabilità penale ove il fatto costituisca reato.
Con l’ordinanza n. 24722 dell’11 agosto 2022, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che ha dichiarato inefficace il licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore senza la previa affissione del codice disciplinare.
I fatti contestati riguardano il licenziamento di un lavoratore, il quale aveva lavorato alle dipendenze di un datore di lavoro sin dal 1993. Dal 2010, il dipendente era stato addetto in via esclusiva all’infilaggio di tubi di rame all’interno dei diaframmi di plastica costituenti una struttura portante denominata “castelletto”.
Negli anni dal 2011 al 2013, il lavoratore aveva ricevuto varie contestazioni disciplinari per scarso rendimento e provvedimenti disciplinari di sospensione dal servizio e dalla retribuzione. In data 7 novembre 2013, lo stesso era stato licenziato con preavviso a seguito di una contestazione disciplinare con cui gli si addebitava “una voluta lentezza nello svolgere la mansione affidata”, unitamente alla recidiva specifica.
Il tribunale, sia in fase sommaria che nella successiva fase di opposizione, aveva rigettato la domanda, avendo accertato rendimenti del lavoratore (invalido civile al 50% ma giudicato idoneo alla mansione assegnatagli) pari o inferiori al 50% rispetto alla media produttiva del reparto dove questi era assegnato.
I giudici di appello, pertanto, hanno rilevato come “la contestazione disciplinare avesse ad oggetto la violazione, non di doveri fondamentali del lavoratore o del c.d. minimo etico”, che devono presumersi conosciuti da tutti, “bensì di una specifica regola tecnica di produttività”, legata ad un determinato standard medio fissato dall’azienda in base alla propria organizzazione produttiva e alla media raggiunta dagli altri dipendenti con identiche mansioni. In ragione di tali caratteristiche, dunque, il datore di lavoro avrebbe dovuto preliminarmente informare i lavoratori della rilevanza disciplinare della violazione della citata regola di produttività, mediante affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti.
La società, in sua difesa, avendo ricevuto nei precedenti gradi di giudizio tale contestazione ai sensi dell’art. 7, comma 1, della Legge 300/1970, ovverosia di non aver affisso il regolamento aziendale, ha richiesto l’ammissione della prova testimoniale, a integrazione del contradittorio, ma in entrambi i giudizi non è stata accolta l’eccezione della parte convenuta.
I giudici di ultima istanza, con l’ordinanza, hanno ritenuto legittimo il giudizio del giudice precedente e condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I fringe benefit sono una forma di retribuzione in natura che il datore di lavoro può concedere al dipendente in aggiunta alla norma retribuzione mensile. Tipici esempi di fringe benefit sono l’auto aziendale, il buono carburante e il voucher spendibile presso centri commerciali o portali web.
Per questi tipi di erogazione, l’art. 51 comma 3 del TUIR prevede una specifica soglia di esenzione.
Le novità per il solo anno 2022, in particolare, riguardano i seguenti punti:
Ricordiamo che, sempre per il solo anno 2022, è prevista una ulteriore soglia di esenzione fiscale per i buoni carburante, che non concorreranno a formare il redditto entro il valore di 200 Euro, da considerarsi in aggiunta rispetto ai 3.000 Euro dei fringe benefit.
È stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale del 28 ottobre 2022, il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 2 agosto 2022, avente il seguente titolo: “Criteri e modalità per l’accertamento sanzionatorio di mancata attuazione dell’obbligo formativo da parte del lavoratore in costanza delle integrazioni salariali straordinarie”.
Le sanzioni applicabili in caso di omissione
Tale decreto ha dato attuazione al Decreto-legge n. 4/2022 come convertito in Legge n. 25/2022, il quale enuncia che i lavoratori beneficiari di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa debbano obbligatoriamente partecipare a corsi di formazione o riformazione professionale, come previsto dal D. Lgs. n. 148/2015. Il mancato assolvimento di tale obbligo comporta all’irrogazione di sanzioni ai lavoratori inadempienti. In particolare, questa è prevista nel caso in cui essi, senza giustificato motivo, non adempiano all’obbligo formativo.
La mancata partecipazione dei lavoratori beneficiari nella misura compresa tra il 25% e il 50% delle ore previste per ognuno dei corsi proposti senza valida giustificazione, prevede, in particolare, la decurtazione corrispondente a un terzo delle mensilità ricevute dal lavoratore del trattamento erogato, ferma restando comunque la sanzione minima di decurtazione di una mensilità.
Per quanto riguarda, invece, la mancata partecipazione ai corsi previsti in una misura del 50% e del 80%, questa comporta la decurtazione della metà delle mensilità di trattamento straordinario erogate al lavoratore, sempre ferma restando la sanzione minima detta in precedenza.
Per ciò che concerne, inoltre, la mancata partecipazione ai corsi previsti nella misura dell’80% e oltre da parte del lavoratore, la stessa comporta la decadenza dal trattamento di integrazione salariale.
I giustificati motivi dettagliati dal Decreto
Il decreto riconosce, altresì, dei giustificati motivi che fanno venire meno l’obbligo formativo. Questi sono, ad esempio, lo stato di malattia o infortunio, maternità, gravi motivi familiari documentati e per ultime le situazioni riguardanti gli obblighi giudiziari.
Il recupero dell’indennità, inoltre, non fa venir meno i periodi di contribuzione figurativa, né prevede la restituzione degli importi degli assegni al nucleo famigliare.
Ai fini ispettivi, per ciò che riguarda gli accertamenti di fine del trattamento di cassa integrazione, il decreto ha previsto che gli ispettori siano tenuti a controllare il concreto svolgimento della formazione secondo il programma aziendale presentato.
Qualora risultino assenze ingiustificate senza valido motivo dei lavoratori nei registri dell’ente responsabile della formazione, queste verranno segnalate alla sede INPS territorialmente competente al fine di procedere alla procedura sanzionatoria.
Le modalità di recupero dei trattamenti indebiti sono previste dalle procedure di INPS o degli altri fondi di solidarietà bilaterali alternativi previsti dall’art. 27 del D. Lgs. 148/2015.
Nel CCNL Autostrade e trafori (Concessionari), a decorrere dal 1° dicembre 2022, verrà istituito un importo Differenziato dalla Retribuzione (I.D.R. 2021) che dovrà essere erogato esclusivamente per 14 mensilità.
Per il mese di dicembre 2022 è previsto l’aumento dell’importo destinato a Welfare contrattuale che spetta a tutti i Lavoratori in forza, che abbiano superato il Patto di prova. Il Welfare Contrattuale deve considerarsi distinto e non assorbibile rispetto alle prestazioni di Welfare Aziendale, fruito in sostituzione del Premio di Risultato, in aggiunta agli eventuali benefici di analoga natura che già fossero presenti in Azienda.
Si prevede la sospensione dell’erogazione della quota di produttività ex art. 48 riferita all’anno 2021, al fine di verificarne quantità e modalità di erogazione a seguito del processo di unificazione contrattuale con Anpas. In caso di mancata sottoscrizione del nuovo contratto unificato entro il 30 settembre 2022 le quote saranno corrisposte secondo le modalità previste nell’articolato contrattuale 2010/2012 sullo stipendio di dicembre 2022.
L’elemento di perequazione erogata con la retribuzione del mese di dicembre è pari a 200 euro lordi per l’anno 2021 e verrà aumentato a 230 euro nell’anno 2022, ed a 260 euro a decorrere dall’anno 2023.
Ai lavoratori in forza al 31 dicembre 2008 a cui si applicava la Disciplina Speciale, Parte Prima, a partire dall’anno 2009 con la retribuzione del mese di dicembre va riconosciuta un’erogazione annua ragguagliata a 11 ore e 10 minuti quale Elemento individuale annuo di mensilizzazione non assorbibile ex C.C.N.L. 20 gennaio 2008.
In caso di risoluzione del rapporto di lavoro al lavoratore spetterà il pagamento dell’Elemento sopra definito in proporzione dei dodicesimi maturati. La frazione di mese superiore ai 15 giorni sarà considerata, a questi effetti, come mese intero.
In assenza di contrattazione collettiva aziendale, o nel caso in cui la contrattazione si chiudesse senza un formale accordo entro il mese di novembre di ciascun anno, verrà erogata con la retribuzione del mese di dicembre una somma lorda annua a titolo perequativo, onnicomprensiva e non incidente sul TFR.
Tale importo lordo, con decorrenza dall’anno 2020, sarà pari a euro 330,00 annui e sarà erogato con la retribuzione di dicembre di ciascun anno.
In assenza di contrattazione collettiva aziendale, o nel caso in cui la contrattazione si chiudesse senza un formale accordo entro il mese di novembre di ciascun anno, verrà erogata con la retribuzione del mese di dicembre una somma lorda annua a titolo perequativo, onnicomprensiva e non incidente sul TFR.
Tali importi lordi saranno pari a euro 275,00 per il 2020 ed euro 300,00 per gli anni successivi. Tali importi saranno erogati con la retribuzione di dicembre di ciascun anno.
Il Datore di lavoro mette a disposizione un Welfare Contrattuale pari al valore minimo annuo di euro 1.200 per il personale Quadro e di euro 600 per la restante parte del personale.
Tale Welfare sarà a disposizione di tutti i lavoratori in forza che abbiano superato il Patto di prova all’atto dell’accredito, nella misura del 50% nel mese di luglio e, per il restante 50%, nel mese di dicembre (1° versamento: luglio 2022; 2° versamento: dicembre 2022).
La contribuzione al Fondo a carico delle Aziende viene elevata all’1,4% della retribuzione assunta a base della determinazione del Trattamento di Fine Rapporto, a decorrere dal 1° dicembre 2022.
Per gli anni 2022 e 2023, entro e non oltre il 20 dicembre di ciascun anno, gli Enti mettono a disposizione di ciascun lavoratore strumenti di welfare del valore di 200,00 euro da utilizzare entro il 19 dicembre dell’anno successivo.
Qualora, alla data del 31 dicembre 2022, il lavoratore non abbia destinato o utilizzato tutto o parte dell’Una Tantum Welfare o sia cessato nel periodo intercorrente tra la sottoscrizione dell’accordo del 22 marzo 2022 e l’utilizzabilità di tali somme, al lavoratore non verrà riconosciuta alcuna liquidazione monetaria e la somma non fruita sarà destinate al Fondo Pensione Complementare Eurofer. In caso di trasferimento della posizione del lavoratore ad un’altra forma pensionistica complementare, l’azienda non disporrà alcun versamento della somma.
Le Parti, riconoscendo il valore sociale della previdenza complementare, concordano di incontrarsi a livello nazionale entro il 31 dicembre 2022 per individuare e definire le modalità più opportune al fine di destinare al fondo di previdenza di categoria la somma di 6 euro riparametrati per livello, temporaneamente allocata ai fini del presente rinnovo sull’EDR.
A decorrere dal 1° dicembre 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Nel mese di dicembre 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” per i dipendenti i cui rapporti di lavoro sono disciplinati dai seguenti CCNL:
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 468 del 22 settembre 2022, ha fornito alcuni chiarimenti in merito agli emolumenti corrisposti nell’anno successivo a quello di maturazione, in virtù di contratti collettivi integrativi, ed il relativo regime di tassazione, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), del TUIR. La richiesta dell’instante è stata volta a comprendere quale tipo di tassazione potesse essere applicabile a singole casistiche di corresponsione tardiva scaturenti dal rinnovo di un contratto collettivo nazionale integrativo.
La normativa di riferimento utile al caso in specie al fine di determinare la tipologia di tassazione da applicare è rinvenibile negli articoli 17 e 51 del TUIR, i quali sanciscono rispettivamente quali redditi siano soggetti a tassazione separa e il c.d. principio di cassa.
L’articolo 51, comma 1, del TUIR prevede, in particolare, che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro» determinati, ai fini dell’imputabilità fiscale, secondo il principio di cassa.
Data la progressività delle aliquote IRPEF e al fine di attenuare gli effetti negativi derivanti dalla rigida applicazione del predetto principio, l’articolo 17, comma 1, lettera b), del TUIR prevede che siano soggetti a tassazione separata “gli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti, o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti”.
Ai fini una corretta applicazione della tassazione separata, negli anni, l’autorità fiscale si è espressa allo scopo di chiarire quali situazioni di diritto potessero essere conformi ai requisiti richiesti dall’articolo 17. Con le circolari n. 55/E/2001 e n. 43/E/2004, l’Agenzia delle Entrate ha delineato che le situazioni che possono in concreto assumere rilevanza ai fini della tassazione separata sono di due tipi:
L’Agenzia, nella sua risposta, prosegue precisando che l’applicazione del regime di tassazione separata deve intendersi escluso ogni qualvolta che il pagamento degli emolumenti in un periodo successivo a quello di maturazione derivi dal rispetto dei tempi tecnici e che, pertanto, il ritardo abbia natura “fisiologica”. In questa casistica, come chiarito dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 379/E/2002, rientrano gli emolumenti variabili pagati in relazione al raggiungimento di determinati obiettivi su base annua corrisposti nell’anno successivo a quello in cui gli obiettivi fanno riferimento. In questo caso, è la stessa natura degli emolumenti che comporta l’erogazione nell’anno successivo. Pertanto, l’applicazione della tassazione separata non è ammissibile in quanto l’erogazione differita è “fisiologica” in considerazione della natura della corresponsione e inoltre non deriva da una causa giuridica.
Al contrario, nel caso in cui ricorra una delle “cause giuridiche” previste nell’articolo 17, comma 1, lettera b), non si rende necessario effettuare alcuna valutazione in merito alle cause del ritardo al fine di individuare se questo rectius possa essere di tipo fisiologico. Il legislatore ha previsto che, indipendentemente dalla natura degli emolumenti, è sufficiente che l’erogazione avvenga in un periodo d’imposta successivo rispetto a quello di competenza per effetto della stipula del contratto collettivo, anche decentrato, per realizzare le condizioni necessarie all’applicazione della tassazione separata. Al contrario, l’indagine in ordine al “ritardo” deve essere sempre effettuata quando questo sia scaturito da “circostanze di fatto”.
L’istante rappresenta che è stato stipulato, in data 25 ottobre 2021, il contratto collettivo nazionale integrativo relativo agli anni 2020 e 2021 il quale definisce (i) i criteri di assegnazione, (ii) le somme e le indennità da lavoro dipendente e (iii) i compensi incentivanti. Per effetto della stipula la società potrà corrispondere i compensi relativi alle differenze stipendiali solo a decorrere dal 2022. L’Agenzia delle Entrate assume, in linea con quanto sopra illustrato, che l’erogazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello di riferimento in presenza e in attuazione di un contratto collettivo e che dunque possa essere applicata la tassazione separata.
L’istante rappresenta altresì che, per effetto del medesmo CCNL integrativo, sono state previste somme a titolo di “retribuzione accessoria” costituita da differenti componenti, tra cui incentivazione ordinaria e variabile.
La corresponsione di questa retribuzione accessoria è collegata al raggiungimento di obiettivi di performance organizzativa per gli anni 2020 e 2021 per il quale pagamento verrà effettuata una verifica trimestrale al fine di disporre un pagamento pro quota in acconto nel limite del 15% nei mesi di maggio, agosto, novembre e marzo dell’anno successivo. L’erogazione dei saldi per l’incentivazione ordinaria e speciale sarà commisurata ai risultati di performance definiti sull’intero anno di riferimento e corrisposta successivamente.
L’Agenzia delle Entrate stabilisce che le somme relative alle retribuzioni accessorie relative all’anno 2020, essendo il contratto stato sottoscritto in ottobre 2021, saranno soggette all’applicazione della tassazione separata mentre, con riferimento alle componenti accessorie del 2021, la sottoscrizione del contratto nel medesimo anno di riferimento non costituisce una causa giuridica sopravvenuta che possa giustificare la tassazione separata pertanto le somme saranno soggette ad ordinaria imposizione IRPEF.
L’erogazione del quarto acconto nel mese di marzo dell’anno successivo a quello di riferimento viene erogato anche in mancanza della sottoscrizione del CCNI dell’anno di riferimento, in quanto si considera “ultrattiva” la norma del più recente accordo sottoscritto. Pertanto, essendo previsto contrattualmente e pagato anche in mancanza della relativa sottoscrizione, l’Agenzia delle Entrate non ritiene che tale acconto rientri tra i redditi ai quali possa essere applicata la tassazione separata in quanto il ritardo è scaturente dalla fisiologia dell’emolumento.
Con la sentenza n. 24438 dell’8 agosto 2022, la Corte di Cassazione si è espressa in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore dipendente per l’inosservanza del regolamento aziendale.
In particolare, il lavoratore era impiegato da una struttura alberghiera con la mansione di fattorino. Lo stesso, stando alla ricostruzione dei fatti, si era recato presso la struttura alberghiera al di fuori dell’orario di lavoro e ivi aveva stazionato in attesa di ospiti da accompagnare, come da precedenti accordi. Di fatto, però, il lavoratore decideva di accompagnare repentinamente, con il proprio mezzo, altri ospiti in attesa del taxi, nonostante i colleghi di servizio avessero cercato di dissuaderlo, con conseguente danno all’immagine dell’hotel.
Sul punto, la Corte di appello di Catania, accogliendo il reclamo principale presentato dal datore di lavoro avverso la pronuncia del tribunale locale, dichiarava risolto il rapporto di lavoro fra le parti dalla data del licenziamento e condannava la società al pagamento, in favore del lavoratore, di una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale, a fondamento di tale decisione, considerava che per le conseguenze sanzionatorie, non potendosi opinare il fatto grave per la unicità dell’episodio e per gli effetti da esso determinati, la sanzione espulsiva appariva sproporzionata e, pertanto, escludeva la tutela ex art. 18, co. 4, Legge n. 300/1970, applicando la tutela indennitaria cd. “forte” ex art. 18, co. 5.
Avverso detta sentenza, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, cui il datore di lavoro resisteva con controricorso. In particolare, il ricorso si basava su distinti motivi. In particolare, il lavoratore sosteneva che la Corte di merito, disattendendo i principi in materia, fosse entrata in palese contraddizione nella motivazione della sentenza affermando, da un lato, che il comportamento sanzionato non era meritevole dell’effetto espulsivo e, dall’altro, confermando il licenziamento intimato. Inoltre, veniva sottolineato che le circostanze rassegnate dal datore di lavoro erano perfettamente tipicizzate e disciplinate dal CCNL, che prevede l’applicazione di una misura conservativa, non potendo la ipotesi contestata rientrare nella misura più grave prevista dallo stesso CCNL.
Il motivo in esame veniva ritenuto fondato da parte della Corte di Cassazione. Nel dettaglio, la Suprema Corte ha illustrato come il CCNL applicato al rapporto di lavoro preveda, “in ipotesi di inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi del datore”, la sospensione del lavoro fino a sette giorni. Il CCNL stesso, “qualora le sopra citate ipotesi rivestano particolare gravità e sempre che tale gravità non sia diversamente perseguibile”, dispone altresì la sospensione dal lavoro da otto a dieci giorni.
Viene precisato, sul punto, che per la configurabilità di un licenziamento per giusta causa occorre che “l’inosservanza di disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio, già di per sé grave, presenti un ulteriore “surplus” di gravità”; pertanto, è necessario essere in presenza di una gravità “massima ed estrema”, non era ravvisabile nella fattispecie in esame, avendo riguardo al carattere episodico ed isolato del fatto contestato. La Corte territoriale opinava, quindi, che la sanzione espulsiva risultava “eccessiva e sproporzionata”.
Tutto quanto sopra considerato, i giudici della Cassazione osservavano che, una volta esclusa, da parte della Corte territoriale, l’applicabilità dell’art. 204 CCNL, che consente in particolari ipotesi di gravità massima ed estrema la sanzione espulsiva, i giudici di seconde cure “avrebbero dovuto valutare la applicazione o della disposizione dell’art. 202 o di quella dell’art. 203 del CCNL che puniscono, con sanzioni conservative, la stessa condotta, ritenuta dimostrata, non connotata da quel tipo di gravità, senza procedere ad un giudizio di proporzionalità della sanzione applicata”.
In altri termini, se non era applicabile l’art. 204 CCNL – come pacificamente ammesso dalla Corte di appello – la fattispecie era automaticamente regolata o dall’art. 202 e dall’art. 203 CCNL, che disciplinano la medesima condotta senza, però, quel “surplus” di gravità richiesto dalla prima disposizione citata, non essendo, quindi, possibile ricorrere all’esame della sproporzionalità della sanzione qualora si sia in presenza, cioè, di una previsione della contrattazione collettiva che preveda, per quel comportamento, una sanzione conservativa.
Il motivo di ricorso da parte del lavoratore veniva quindi accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.
A decorrere dal 1° novembre 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Nel mese di novembre 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” per i dipendenti i cui rapporti di lavoro sono disciplinati dai seguenti CCNL:
L’INPS, con la circolare n. 106 del 29 settembre 2022, ha fornito nuove istruzioni per le lavoratrici madri che intendano usufruire del congedo di maternità flessibile e per coloro che esercitino la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto. Le due disposizioni oggetto di chiarimenti da parte dell’INPS sono, rispettivamente, contenute nell’articolo 20 e nell’articolo 16 comma 1.1 del Testo Unico sulla maternità, Decreto Legislativo n. 151/2011.
Il decreto legislativo di riferimento, all’art. 16, prevede che sia fatto divieto di adibizione al lavoro delle donne durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto disposto dal successivo articolo 20.
Oltre a questa modalità di fruizione del congedo obbligatorio di maternità, la normativa ha previsto che la lavoratrice madre possa fruire del congedo in forma flessibile, cioè posticipando il periodo di astensione lavorativa a decorrere da un mese prima la data presunta del parto, usufruendo, di conseguenza, di quattro mesi di congedo successivamente alla data effettiva del parto. Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 43/2000, ha fornito indicazioni sulle modalità di esercizio della facoltà di fruizione del congedo in forma flessibile, prevedendo che “la lavoratrice che intende avvalersi dell’opzione in discorso deve presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della o delle certificazioni sanitarie […] acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza”. Successivamente sul punto, l’INPS ha stabilito, con circolare n. 152/2000, che “la lavoratrice che intende usufruire della flessibilità dell’astensione obbligatoria dovrà presentare domanda […], corredata della certificazione dello specialista ginecologo del S.S.N. […] nonché della certificazione del competente medico di azienda” qualora la mansione svolta sia oggetto di sorveglianza sanitaria, verificando che la domanda presentata fosse conforme alle disposizioni e che fosse redatta nel corso del settimo mese di gravidanza.
Inoltre, l’istituto previdenziale ha previsto che, qualora le attestazioni sanitarie non fossero state redatte nel corso del settimo mese di gravidanza, le stesse non avrebbero consentito di continuare l’attività lavorativa nei giorni dell’ottavo mese, comportando la completa reiezione dell’opzione di flessibilità, con il conseguente calcolo del periodo di maternità secondo le modalità ordinarie.
A distanza di qualche anno, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10180/2013, ha disposto che, anche qualora la lavoratrice abbia continuato a svolgere attività lavorativa nel corso dell’ottavo mese e avesse presentato il certificato medico oltre il settimo mese, la stessa avrebbe comunque avuto il diritto di astenersi per congedo di maternità fino al quarto mese successivo alla nascita, percependo dall’INPS la relativa indennità. La Suprema Corte, in detta sentenza, ha altresì affermato che il periodo complessivo dei cinque mesi non è disponibile e che anche la mancata presentazione della documentazione nei termini previsti non possa comportare la perdita della misura garantita per legge.
Con la circolare in argomento, al fine di contrastare l’aumento dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali, l’INPS ha apportato delle modifiche alla procedura di richiesta di flessibilità del congedo di maternità al fine di garantire una maggiore elasticità procedurale e favorire una maggior tutela alle lavoratrici madri.
Nel dettaglio, l’INPS ha previsto che la documentazione sanitaria necessaria in fase di richiesta della flessibilità del congedo di maternità, ovverosia il certificato medico del ginecologo convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale e quello del medico del lavoro in caso di mansione soggetta a sorveglianza sanitaria, non dovranno più essere inviati all’Istituto, ma solamente al datore di lavoro o committente. Non è più richiesto, inoltre, che la lavoratrice alleghi la dichiarazione del datore di lavoro relativa alla non obbligatorietà del medico responsabile della sorveglianza sanitaria sul luogo di lavoro.
A fronte della circolare in commento, l’INPS ha comunicato che tutte le lavoratrici madri che abbiano fatto domanda di flessibilità e che si siano viste negare, da parte dell’istituto stesso, l’indennizzo del quinto mese di maternità a fronte di un ritardo nella produzione dei certificati, potranno agire al fine di vedersi riconosciuta l’indennità non percepita, al netto dell’eventuale prescrizione sopravvenuta.
In alternativa alla modalità ordinaria di fruizione del congedo di maternità e alla possibilità di flessibilità, la normativa di riferimento, all’articolo 16 comma 1.1, prevede “la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso”.
Nella circolare n. 148/2019, l’INPS aveva fornito indicazioni operative da adottare al fine di poter proseguire l’attività lavorativa fino alla data presunta del parto o fino all’evento del parto, prevedendo quale fosse la documentazione medica necessaria che la lavoratrice fosse tenuta a produrre.
Anche in questo caso, con la circolare INPS n. 106/2022 in trattazione, l’istituto ha precisato che le attestazioni mediche che in precedenza dovevano essere allegate alla domanda telematica inoltrata all’istituto, a seguito della pubblicazione della circolare, non dovranno più essere prodotte all’INPS, ma solamente al proprio datore di lavoro prima dell’inizio dell’ottavo mese di gravidanza.
Resteranno, pertanto, valide le indicazioni contenute nel paragrafo 1.1. della circolare INPS n. 148/2019, il quale dispone che:
Infine, è bene precisare che resta vigente l’obbligo, per le gestanti, di effettuare la trasmissione all’INPS del certificato telematico di gravidanza attraverso il medico del SSN o con esso convenzionato attraverso il canale telematico previsto dalla circolare INPS n. 82/2017.
Con la nota n. 9550 del 6 settembre 2022, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito i primi chiarimenti sulle novità contenute nel Decreto Legislativo n. 105/2022 (cd. “Decreto conciliazioni vita-lavoro”, di seguito anche il “Decreto”), che ha previsto un ampliamento di tutele e diritti delle figure genitoriali e dei cd. “caregiver” familiari.
Rispetto alla previgente disciplina, è stato introdotto dal Decreto l’articolo 27-bis del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (anche noto come “Testo unico della maternità e paternità”, di seguito anche “T.U.”), in merito al congedo di paternità obbligatorio. Tale integrazione stabilisce che il padre lavoratore, dai due mesi precedenti alla data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi, si astenga dal lavoro per un periodo di 10 giorni non frazionabile a ore, da utilizzare anche in maniera discontinua. Tale congedo si aggiunge al congedo di paternità alternativo, disciplinato dall’art. 28 T.U., spettante al padre in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, in alternativa al congedo di maternità.
Per quanto riguarda le peculiarità, l’ITL precisa che:
Rimangono vigenti al periodo protetto per quanto riguarda dimissioni, divieto di licenziamento e preavviso.
L’articolo 2, comma 1, lettera i), del Decreto Legislativo n. 105/2022 ha modificato il comma 1 dell’articolo 34 del T.U., disponendo che, alla madre e al padre, fino al dodicesimo anno (e non più fino al sesto anno) di vita del bambino spetta un periodo indennizzabile a titolo di congedo parentale di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore; entrambi i genitori hanno, altresì, diritto, in alternativa tra loro, a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, per un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di 9 mesi (e non più 6 mesi).
Restano invariati i limiti massimi individuali e di entrambi i genitori previsti dall’articolo 32 del T.U.
Le modifiche in materia di congedo parentale trovano applicazione anche in caso di adozione nazionale ed internazionale e di affidamento. Pertanto, la sopra citata indennità del 30 per cento è dovuta, per il periodo massimo complessivo previsto dei 9 mesi, entro i 12 anni dall’ingresso del minore in famiglia e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età (art. 36, c. 3, T.U.).
Si evidenzia che, secondo la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 34 T.U. nuova formulazione, i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salvo eventuali discipline di maggior favore della contrattazione collettiva.
Secondo la nuova disciplina entrata in vigore il 13 agosto 2022, nell’ordine di priorità, al coniuge convivente sono stati equiparati la parte dell’unione civile convivente e il convivente di fatto di cui all’articolo 1, comma 36, della Legge n. 76/2016, della persona disabile in situazione di gravità.
È stato previsto, inoltre, che il congedo possa essere fruito entro 30 giorni (e non più 60) dalla richiesta, oltre alla possibilità di instaurare la convivenza anche successivamente alla presentazione della domanda, purché sia garantita per tutta la fruizione del congedo.
Il nuovo art. 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera b), n. 2), del Decreto, nel riferirsi espressamente anche al lavoratore dipendente pubblico, individua tra i titolari del diritto ai permessi anche la parte di un’unione civile e il convivente di fatto. È stabilito, inoltre, che fermo restante il limite complessivo dei tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto ai permessi può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro, eliminando così il “referente unico dell’assistenza”.
In conseguenza della modifica dell’art. 8, c. 4, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ad opera dell’art. 5, c. 1, lett. a) del Decreto, viene riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti, oltre che il coniuge, la parte di un’unione civile del soggetto coinvolto.