Ministero del Lavoro: nuove causali CIGO conseguenti a crisi in Ucraina

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con Decreto ministeriale n. 67 del 31 marzo 2022 (il “Decreto”), ha apportato una significativa integrazione al Decreto ministeriale n. 95442/2016 a fronte degli eventi bellici in atto in Ucraina che stanno causando, oltre ad una crisi umanitaria, notevoli difficoltà economiche e di mercato.

Vengono, infatti, introdotte due causali di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria (“CIGO”), con particolare riferimento ai casi di “mancanza di lavoro o di commesse e crisi di mercato” e “mancanza di materie prime o componenti”.

L’assetto normativo ordinario

Il D. Lgs. 148/2015:

  • delimita il campo di applicazione della CIGO alle aziende appartenenti a precisi settori merceologici di attività, tra cui rientrano le imprese del settore industriale;
  • identifica i destinatari in tutti i lavoratori subordinati (anche apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante), ad esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. I destinatari devono, però, avere, presso l’unità produttiva per la quale viene richiesto il trattamento, un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 30 giorni alla data di presentazione della relativa domanda di concessione. Detto requisito non è necessario in caso di richiesta CIGO per eventi “oggettivamente non evitabili”. 

In generale, il ricorso alla CIGO è subordinato alla transitorietà e temporaneità dell’evento che determina la crisi, oltre che alla sua non imputabilità all’azienda ed agli stessi dipendenti. 

Il DM 95442/2016 ha individuato quali possibili cause per la concessione della CIGO le seguenti:

  1. mancanza di lavoro e di commesse – contrazione periodica dell’attività lavorativa; 
  2. crisi di mercato; 
  3. fine cantiere, fine lavoro o fine fase lavorativa; 
  4. mancanza di materie prime o componenti; 
  5. eventi meteo, incendi, alluvioni, sisma, crolli etc.; 
  6. perizia di variante o suppletiva al progetto originario; 
  7. guasti ai macchinari; 
  8. manutenzione straordinaria; 
  9. impraticabilità dei locali anche per ordine di pubblica autorità; 
  10. sospensione o riduzione dell’attività per ordine di pubbliche autorità; 
  11. sciopero di reparto. 

Soffermandoci sulle causali di intervento di cui ai punti a), b) e d) del sopra citato elenco, il DM 95442/2016 prevede la possibilità di accedere alla CIGO per:

  • mancanza di lavoro o commesse e crisi di mercato” se l’impresa richiedente dimostra, tramite una dettagliata relazione tecnica da allegare all’istanza, che la contrazione dell’attività lavorativa deriva da un calo di ordini e commesse che compromettono gli indicatori economico-finanziari di bilancio;
  • crisi di mercato” se l’impresa richiedente dimostra che la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deriva dall’andamento del mercato o del settore merceologico a cui essa appartiene e
  • mancanza di materie prime” se l’impresa richiedente dimostra che la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deriva dall’andamento di mercato o del settore merceologico. Ciò, attraverso una relazione tecnica che documenti “le modalità di stoccaggio e la data dell’ordine delle materie prime o dei componenti nonché le iniziative utili al reperimento delle materie prime o dei componenti di qualità equivalente ivi comprese le attività di ricerca di mercato sulla base di idonei mezzi di comunicazione, intraprese senza risultato positivo”.

L’intervento delle nuove causali eccezionali

Conseguentemente alla crisi russo-ucraina che sta avendo un forte impatto sui mercati e al fine di fronteggiare questo periodo di incertezza economica, il Ministero del Lavoro per il 2022 ha introdotto le seguenti previsioni:

  • viene integrata la fattispecie di “crisi di mercato” con “la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa derivante anche dall’impossibilita di concludere accordi o scambi determinata dalle limitazioni conseguenti alla crisi in Ucraina”;
  • il caso di “mancanza di materie prime o componenti” “sussiste anche quando sia riconducibile a difficoltà economiche, non prevedibili, temporanee e non imputabili all’impresa, nel reperimento di fonti energetiche, funzionali alla trasformazione delle materie prime necessarie per la produzione”. Sul punto il Ministero specifica che “la relazione tecnica documenta le oggettive difficoltà economiche e la relativa imprevedibilità, temporaneità e non imputabilità delle stesse all’impresa”.

Tirocinio: su salute e sicurezza il datore di lavoro ha gli stessi doveri previsti per i lavoratori dipendenti (Andre Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, aprile 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7093 del 1° marzo 2022, si è espressa in merito alle responsabilità datoriali circa gli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro nei confronti dei tirocinanti.

In particolare, la vicenda ha origine da un episodio infortunistico verificatosi ai danni di una studentessa tirocinante presso un’azienda agricola. La ragazza, nell’atto di pulire un grosso tino, era salita su una scala con in mano un tubo di gomma collegato al rubinetto dell’acqua. Insieme al proprio tutor, il tino era stato aperto e il pesante coperchio metallico appoggiato, in equilibrio, sul bordo del tino. Durante le operazioni di pulizia, il coperchio era rovinato sulla tirocinante, colpendole la mano destra e causando una profonda ferita da taglio con lesione al tendine.

L’iter giudiziale che ha fatto seguito all’avvenimento ha visto il datore di lavoro addossato della responsabilità penale dell’accaduto, data la contestazione di aver cagionato alla tirocinante lesioni personali giudicate guaribili in 105 giorni. In particolare, nei diversi gradi di giudizio è stato osservato come, ai sensi dell’art. 2, lett. a), del D. Lgs. 81/2008 (c.d. “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro”), la tirocinante debba essere ricompresa nella più ampia categoria di “lavoratore”, in quanto i fini della sicurezza sul lavoro è considerato tale chiunque svolga“un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”, indipendente dalla tipologia contrattuale.

Alla luce di tale previsione, veniva addebitato al datore di lavoro di avere violato le norme in materia di sicurezza sul lavoro e, segnatamente, di “avere disposto che l’attività di lavaggio della vasca venisse eseguita senza alcuna preventiva valutazione del rischio, in carenza assoluta di una precipua formazione e senza munire la tirocinante dei necessari dispositivi di protezione (artt. 17, 37 e 71 D. Lgs. 81/2008)”.

Avverso la pronuncia di cui sopra, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione, avanzando diversi motivi di doglianza.

Anzitutto, l’azienda non riteneva di doversi fare carico delle disposizioni di cui al Testo unico sulla sicurezza, nella convinzione che l’adempimento degli obblighi di sicurezza del tirocinante fosse riferibile esclusivamente al soggetto promotore, a meno che un’apposita convenzione non facesse convergere gli stessi sull’azienda ospitante. Sul punto, il datore di lavoro osservava come nella convenzione fosse esplicitamente previsto che la copertura assicurativa del tirocinante contro gli infortuni sul lavoro rientrasse tra gli obblighi del soggetto promotore, ossia l’università presso cui la tirocinante era iscritta all’epoca dei fatti.

Inoltre, il datore di lavoro osservava come fosse altrettanto chiara la circostanza che gli spazi ed i relativi impianti messi a disposizione dei tirocinanti nei locali aziendali fossero assolutamente a norma, in totale ottemperanza rispetto a quanto stabilito dalla convenzione stipulata con l’università. Pertanto, nessuna responsabilità penale sarebbe potuta gravare sul datore di lavoro – a suo dire – considerato che, in tema di sicurezza sul lavoro, era stato inoltre incaricato un tecnico specializzato per la valutazione dei rischi all’interno dell’azienda.

Da ultimo, il datore di lavoro riteneva che fosse lampante come l’infortunio occorso alla tirocinante fosse dipeso da un comportamento istantaneo e imprevedibile della stessa, non collegato al compito affidatole. In particolare, durante l’attività di pulizia realizzata dalla ragazza, il coperchio, probabilmente a causa degli spruzzi di acqua ricevuti, si sbilanciava verso l’interno della vasca; in tale momento e senza alcuna logica, la tirocinante tentava di fermare il coperchio con la sola mano destra, continuando a tenere il tubo dell’irrigazione con la sinistra. Così operando, a dire del datore di lavoro, la tirocinante era assolutamente conscia del fatto che stava attuando una condotta pericolosa per la propria incolumità, riferibile ad un comportamento abnorme suscettibile di escludere ogni responsabilità da parte dell’azienda. “Anche in presenza di adeguata formazione in punto di sicurezza – sosteneva il datore di lavoro – l’infortunio si sarebbe egualmente verificato, esulando il comportamento della persona offesa dalle più elementari regole di prudenza”.

Stanti le motivazioni avanzate dal datore di lavoro con il proprio ricorso, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che i motivi di doglianza fossero manifestamente infondati, respingendo il ricorso datoriale.

In particolare, l’applicazione al caso di specie delle previsioni del D. Lgs. 81/2008 è stata ritenuta corretta, poiché la figura del tirocinante è, a tutti gli effetti, assimilabile a quella del normale lavoratore dipendente. Conseguentemente, nella specifica ipotesi in cui presso un’azienda siano presenti soggetti che svolgano tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi previsti dal citato testo unico al fine di garantire la salute e la sicurezza degli stessi.

Inoltre, non ha avuto rilievo l’obbligo assicurativo gravante sul soggetto promotore, poiché, come si evince dal titolo della circolare INAIL n. 16/2014, esso riguarda l’“obbligo assicurativo dei tirocinanti e relativa determinazione del premio”, senza alcuna attinenza con la sicurezza sui luoghi di lavoro. Alla Suprema Corte è risultato, dunque, di tutta evidenza come non possa validamente sostenersi la esistenza di una fonte di esonero da responsabilità del datore di lavoro nei confronti dei tirocinanti, partecipanti a stage formativi in un’azienda, nella disciplina e nella convenzione richiamata nel ricorso.

La Corte di Cassazione ha osservato come nella sentenza di secondo grado fosse stato acclarata l’omissione di “qualunque attività di informazione e formazione sull’attività da espletare” da parte della tirocinante, “la quale aveva precisato di non aver ricevuto alcuna istruzione sulle modalità esecutive del lavoro da compiere”. Il datore di lavoro, a sua volta, aveva affermato di “non sapere come doveva essere compiuta l’operazione di lavaggio della vasca e di non possedere alcuna preparazione per lo svolgimento dell’attività di tutoraggio”. Altrettanto, risultava chiaro come il datore di lavoro non avesse dotato la tirocinante “dei mezzi di protezione individuali (guanti antitaglio) necessari per eseguire l’operazione, tenuto conto delle caratteristiche del coperchio e del fatto che esso non fosse trattenuto in nessun modo nel momento in cui veniva spostato”.

I giudici, in merito, hanno osservato come la qualità datoriale in capo alla imponesse “la previa valutazione del rischio a cui era esposta la tirocinante, la cui posizione è equiparata al lavoratore per quanto detto sopra, e l’adozione delle necessarie misure di sicurezza”.

Non ha avuto rilievo, invece, la circostanza, segnalata nel ricorso, che la titolare dell’azienda si fosse avvalsa della collaborazione di un professionista incaricato di risolvere ogni

problematica in materia di sicurezza. Sul punto, infatti, la valutazione del rischio, ai sensi dell’art. 17 D. Lgs 81/2008, è compito affidato al datore di lavoro, non delegabile.

Infine, è stato ritenuto inconferente il richiamo al comportamento “abnorme” della tirocinante: in tema di infortuni sul lavoro, infatti, “qualora l’evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato anche elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia”.

Agenzia delle Entrate: sono fiscalmente deducibili i contributi rimborsati dal lavoratore al datore di lavoro per errata applicazione del massimale

Con la recente risposta ad interpello n. 117/2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la deducibilità fiscale dei contributi previdenziali rimborsati dal lavoratore al datore di lavoro a causa dell’indebita applicazione del massimale contributivo. E, in applicazione del principio di cassa, tale la deducibilità trova applicazione con riferimento al periodo di imposta in cui i contributi sono rimborsati al datore di lavoro.

Applicabilità del massimale contributivo

I fatti oggetto dell’istanza di interpello hanno visto l’INPS notificare ad un’azienda una diffida per “recupero contributi da eccedenza massimale” ai sensi dell’articolo 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 con riferimento alla posizione previdenziale di un lavoratore che coinvolgeva più annualità (anni 2015, 2016 e 2017).

All’azienda veniva, infatti, richiesto di sanare l’omissione contributiva derivante dalla mancata comunicazione da parte del lavoratore dell’esistenza “di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti al 1° gennaio 1996”.

Per un verso, l’INPS contestava l’omissione contributiva “in quanto sono emersi (ndr erano emersi) versamenti contributivi solo figurativi (servizio di leva) in epoca antecedente al 1° gennaio 1996”; per altro verso, disconosceva l’applicazione del massimale annuo della base contributiva e pensionabile, previsto dal citato articolo 2, comma 18, Legge n. 335/1995 per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1° gennaio 1996 (cd. “nuovi iscritti”) e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. “vecchi iscritti”), infatti, il massimale contributivo non trova applicazione, con la conseguenza che l’intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale, sia in capo al lavoratore che al datore di lavoro.

Nel caso di specie, l’errata applicazione del massimale contributivo derivava dalla dichiarazione resa dal lavoratore in merito alla propria anzianità contributiva che non aveva tenuto conto dei periodi contributivi maturati prima del 1996. Pertanto, il lavoratore si trovava nella condizione di dover riversare al datore di lavoro i contributi a proprio carico, anticipati dallo stesso all’INPS.

La deducibilità fiscale dei contributi arretrati

Tanto premesso, il lavoratore istante ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito alle modalità con cui procedere alla restituzione dei contributi per la quota a suo carico e alla eventuale deducibilità di quest’ultimi, trattandosi di contributi obbligatori per legge.

Nella propria risposta, l’autorità fiscale ha ricordato come l’articolo 10, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986 (cd. “TUIR”) prevede che dal reddito complessivo si deducono “i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, ivi compresi quelli per la ricongiunzione di periodi assicurativi”.

Pertanto, a parere dell’Agenzia, sono deducibili non solo i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, ma anche i contributi previdenziali versati facoltativamente all’ente che gestisce la forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, qualunque sia la causa che origina il versamento.

Inoltre, viene rilevato che, in applicazione delle regole generali in materia di oneri deducibili dal reddito complessivo, “i contributi in questione sono deducibili se risultano effettivamente a carico del contribuente e debitamente documentati”. In applicazione del cd. “principio di cassa”, al pari di ogni altro onere, “sono deducibili fino a concorrenza del reddito complessivo con riferimento al periodo d’imposta in cui sono stati versati”.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la maggior quota contributiva a carico del lavoratore e derivante dall’erronea applicazione del massimale contributivo per gli anni 2015, 2016 e 2017 costituisce un’integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati. Di conseguenza, tale ammontare risulta deducibile ai fini fiscali per il lavoratore nel periodo d’imposta in cui ha operato effettuato il versamento in favore del datore di lavoro.

Maggio 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Autorimesse e noleggio automezzi: elemento di garanzia retributiva

Entro il mese di maggio deve essere corrisposta la cifra lorda di Euro 400,00 dovuta, per l’anno 2022, a titolo di “elemento di garanzia retributiva”.

L’erogazione è dovuta ai dipendenti di aziende che non abbiano stipulato accordi di secondo livello al 31 dicembre 2020, sempreché gli stessi lavoratori non percepiscano trattamenti economici, anche forfettari, individuali o collettivi, in aggiunta al trattamento economico già fissato dal CCNL.

  • CCNL Calzaturieri (Industria): contributi contrattuali

Entro il 31 maggio 2022, i datori di lavoro sono tenuti a comunicare alle RSU – o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali territoriali di Femca – Cisl, Filctem – Cgil e Uiltec – Uil – l’ammontare complessivo trattenuto a titolo di contributi contrattuali, unitamente al numero complessivo degli aderenti alla sottoscrizione e al numero dei dipendenti in forza.

  • CCNL Cemento, calce (Industria): contributi contrattuali

Entro il 31 maggio 2022 è riconosciuta ai lavoratori non iscritti ai sindacati la possibilità di comunicare al datore di lavoro per iscritto la propria volontà di non accettare la trattenuta di Euro 30,00 a titolo di quota associativa una tantum sulla retribuzione del successivo mese di ottobre.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° maggio 2022

A decorrere dal 1° maggio 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Centri elaborazione dati;
  • CCNL Metalmeccanici (Artigianato);
  • CCNL Metalmeccanici (Artigianato – Conflavoro);
  • CCNL Odontotecnici;
  • CCNL Orafi e argentieri (Artigianato).
  • “Una tantum”

Nel mese di maggio 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai sensi dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Guardie ai fuochi.

Accesso alla pensione anticipata “Quota 102”: l’INPS fornisce istruzioni operative

L’INPS, con la circolare n. 38 datata 8 marzo 2022, ha diramato le istruzioni operative utili all’accesso alla pensione anticipata prevista dall’art. 1, comma 87, della Legge n. 234/2021 (“Legge di Bilancio 2022”), anche detta “Quota 102.

Nel dettaglio, la norma riconosce il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di (i) un’età anagrafica di almeno 64 anni e (ii) un’anzianità contributiva minima di 38 anni. Inoltre, viene coordinata la previgente disciplina della pensione “Quota 100”, ancora applicabile alla pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, ai nuovi requisiti pensionistici da maturare entro l’anno 2022.

Accesso alla nuova pensione anticipata “Quota 102”

Nella circolare, condivisa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’INPS illustra i requisiti di accesso alla nuova forma di pensionamento anticipato, ripercorrendo gli interventi del legislatore fin dall’istituzione della pensione “Quota 100”, prevista, in via sperimentale, per il triennio 2019/2021. Quest’ultima tipologia di accesso anticipato alla pensione era rivolta a coloro che “perfezionano (ndr perfezionavano), nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, un’età anagrafica non inferiore a 62 anni e un’anzianità contributiva non inferiore a 38 anni […] fermo restando che il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può (ndr poteva) essere esercitato anche successivamente alla predetta data”.

L’articolo 1, comma 87, lettera a), della Legge di Bilancio 2022, nell’integrare la disciplina relativa alla pensione “Quota 100”, ha aggiunto un ulteriore periodo al comma 1 dell’articolo 14, prevedendo che “i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al primo periodo del presente comma sono determinati in 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva per i soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2022. Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2022 può essere esercitato anche successivamente alla predetta data”.

Sul punto, l’INPS osserva che gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (“AGO”) e alle forme esclusive e sostitutive della medesima da esso gestite nonché alla Gestione separata, maturano il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2022, di un’età anagrafica di almeno 64 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni.

Il diritto alla pensione anticipata maturato entro il 31 dicembre 2022 può essere fatto valere anche successivamente a tale data, ai fini del conseguimento della pensione, fermo restando il decorso del tempo previsto per l’apertura della c.d. “finestra”. Il requisito anagrafico di 64 anni, allo stesso modo, non è adeguato agli incrementi alla speranza di vita.

Condizionalità e decorrenza del trattamento pensionistico

Le modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2022, inoltre, coordinano la previgente disciplina della pensione “Quota 100” ai nuovi requisiti pensionistici da maturare entro l’anno 2022, con particolare riferimento, tra gli altri:

  • alla facoltà di cumulare, tutti e per intero, i periodi assicurativi versati o accreditati presso due o più forme di assicurazione obbligatoria gestite dall’INPS;
  • al divieto di cumulo della prestazione pensionistica con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli da lavoro autonomo occasionale nel limite di Euro 5.000 lordi annui.

Ai fini della decorrenza del trattamento pensionistico in argomento, trovano applicazione le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 4/2019, che prevedono una disciplina diversificata in materia di conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico a seconda del datore di lavoro, pubblico o privato, nonché della Gestione previdenziale a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.

In particolare, il trattamento pensionistico decorre, con riferimento ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle pubbliche Amministrazioni e ai lavoratori autonomi, trascorsi 3 mesi dalla data di maturazione dei requisiti. In questo caso, la decorrenza della pensione non può essere anteriore al 1° maggio 2022, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico di una Gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO, ovvero, al 2 aprile 2022, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico della Gestione esclusiva dell’AGO.

Maturazione dei requisiti a seguito di riscatto contributivo

L’INPS chiarisce, altresì, che ai fini della maturazione del diritto a pensione, i periodi oggetto di riscatto debbano essere considerati nella loro collocazione temporale, esplicando effetti giuridici come se fossero stati tempestivamente acquisiti alla posizione assicurativa dell’interessato.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo di almeno 38 anni, pertanto, è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato. I lavoratori che perfezionano i requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione “Quota 100”, ovvero entro il 2022, per la pensione “Quota 102”, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste.

Ispettorato Nazionale del Lavoro: prime indicazioni circa le nuove disposizioni in materia di tirocini extracurricolari

Con la nota n. 530 del 21 marzo 2022, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’“INL”) ha fornito alcuni chiarimenti in materia di tirocini extra-curricolari, con particolare riferimento alle nuove disposizioni introdotte dalla Legge n. 234/2021 (c.d. “Legge di Bilancio 2022”). 

In primis, riallacciandosi a quanto previsto dal comma 720 dell’art. 1 della Legge di Bilancio, l’INL ribadisce che il tirocinio è un percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro, finalizzato all’orientamento e alla formazione professionale, anche per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Qualora sia funzionale al conseguimento di un titolo di studio formalmente riconosciuto, il tirocinio si definisce curriculare”.

Successivamente, vengono elencati i punti delle linee guida che, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2022, il Governo e le Regioni dovranno seguire per la redazione e promulgazione di un nuovo accordo condiviso in materia di tirocini extra-curricolari, ovverosia:

  • revisione della disciplina dei tirocini con la previsione che l’attivazione dei tirocini extra-curricolari debba essere circoscritta in favore di soggetti con difficoltà di inclusione sociale;
  • garanzia di una congrua indennità di partecipazione, determinazione di una durata massima che comprenda anche eventuali proroghe e determinazione di limiti numerici di tirocini attivabili in relazione alle dimensioni d’impresa;
  • definizione di livelli essenziali circa la formazione da erogare al tirocinante con la previsione di una certificazione delle competenze alla sua conclusione;
  • definizione di una quota minima di tirocinanti da assumere tra quelli già in essere prima di poter procedere ad una nuova attivazione;
  • previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività.

Accanto alle disposizioni di futura applicazione, la Legge di Bilancio ha introdotto alcuni precetti che sono già vigenti a partire dalla sua entrata in vigore:

  • indennità di partecipazione: la mancata erogazione di una congrua indennità, come da linee guida vigenti, comporta a carico del trasgressore “l’irrogazione una sanzione amministrativa il cui ammontare è proporzionato alla gravità dell’illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 6.000 euro;
  • ricorso fraudolento al tirocinio: come noto il tirocinio non è identificabile come un rapporto di lavoro e per detto motivo un tirocinante non può in alcun modo sostituire un lavoratore dipendente. Se il tirocinio è reso in modo fraudolento il soggetto ospitante è punito con la pena “dell’ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio”. Resta ferma “la possibilità, su domanda del tirocinante, di riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla pronuncia giudiziale”.
  • comunicazione al Centro per l’Impiego: si ribadisce che l’obbligo di comunicazione telematica dell’istaurazione di un tirocinio riguarda unicamente i tirocini extracurricolari. Pertanto, al pari delle altre comunicazioni obbligatorie, in caso di omessa o ritardata comunicazione, è prevista una sanzione amministrativa di importo variabile da 100 a 500 euro per ogni stagista interessato;
  • obblighi di sicurezza: il soggetto ospitante è tenuto, nei confronti dei tirocinanti al rispetto integrale delle disposizioni in materia di salute e sicurezza di cui al D. Lgs. 81/2008. Le relative spese sono integralmente a carico del soggetto ospitante. Come precisato dall’INL, in materia di salute e sicurezza, per il tirocinante sono previste le medesime tutele del personale dipendente.

HR VIRTUAL BREAKFAST “Contratti a termine: regole e prospettive per i datori di lavoro” (HR Capital – De Luca & Partners, 3 maggio 2022)

Martedì 3 maggio, HR Capital e De Luca & Partners hanno organizzato un nuovo HR Virtual Breakfast.

Luca Cairoli, Associate del nostro Studio e il Consulente del Lavoro Andrea Di Nino di HR Capital hanno fatto il punto sui contratti a termine, con un focus tecnico e normativo sulle regole e le prospettive per i datori di lavoro, con la moderazione del nostro Partner, Enrico De Luca.

FOCUS:

“Nel tempo, il legislatore ha cercato di rendere sempre meno conveniente il ricorso ai contratti di lavoro a termine. Ciò è avvenuto anche sotto il profilo dei costi contributivi, più onerosi nei contratti a tempo determinato, ma con un sistema di premialità per le aziende che stabilizzano i rapporti di lavoro precari.”

Il sistema di tutele previdenziali previsto per la generalità dei lavoratori vale anche per i dipendenti a tempo determinato. Alcune di queste, però, si esauriscono alla cessazione del rapporto di lavoro: è il caso dell’indennità di malattia.”

AGENDA:

  • Costo del lavoro: oneri contributivi e sgravi applicabili;
  • Tutele previdenziali (ad es. malattia, maternità, etc.);
  • Computabilità nell’organico aziendale: prospetto disabili, tirocini extra-curriculari, apprendistato, etc.;
  • Limiti di durata e nuove causali “contrattuali”;
  • Limiti quantitativi, esenzioni e sanzioni per il datore di lavoro;
  • Scadenza del termine: prosecuzione del rapporto, proroghe e rinnovi;
  • Requisiti di forma e recesso prima del termine.

Info a: comunicazione@hrcapital.it

Patto di prova: requisito di specificità e rinvio alla contrattazione collettiva nel contratto di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi- Ordine dei Consulenti del Lavoro, marzo 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1099 del 14 gennaio 2022, si è espressa in merito al requisito di specificità del patto di prova e alla sua declinazione nel contratto individuale di lavoro.

In particolare, i fatti di causa hanno visto una lavoratrice agire al fine di ottenere l’accertamento della nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro a tempo determinato intercorso con un datore di lavoro, il quale aveva operato il recesso per mancato superamento della prova stessa. Al contempo, di conseguenza, il lavoratore chiedeva anche la nullità del recesso datoriale e la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni che avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del rapporto di lavoro. Tale risarcimento del danno avveniva anche in virtù del difficile reperimento di altra occupazione a seguito del recesso, considerato il proprio status di invalidità a 46%.

La sentenza di primo grado accoglieva quanto avanzato dalla lavoratrice e tale pronuncia veniva ribadita in appello.

In particolare, nei due gradi di giudizio veniva accertato il “difetto di specificità del patto di prova nella individuazione delle mansioni di concreta adibizione della lavoratrice”.

Secondo il giudice d’appello, infatti, il contratto di lavoro stipulato tra le parti non riportava, in concreto, l’indicazione dei compiti a cui sarebbe stata adibita la lavoratrice. Difatti, il riferimento nel contratto individuale alla figura dell’«addetto ai lavori non rientranti nel ciclo produttivo» rendeva “priva di concretezza la indicazione dei compiti ai quali sarebbe stata adibita la lavoratrice”; analogamente, il rinvio operato dal contratto al «livello I 3» del CCNL applicato “non conferiva specificità alle mansioni da svolgere in ragione del fatto che la previsione collettiva menzionava fra i compiti riconducibili al detto livello «lavori analoghi a lavori di pulizia», senza ulteriore specificazione o esemplificazione”.

Infine, aggiuntivo elemento di incertezza in relazione ai compiti oggetto della prova era costituito dalla clausola del contratto individuale secondo cui le mansioni e gli obiettivi assegnati sarebbero stati specificati soltanto in seguito rispetto al momento dell’assunzione.

Avverso la sentenza di appello il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, con diversi motivi di ricorso. In particolare, l’azienda riteneva che “la necessità di specificazione delle mansioni di adibizione al fine del patto di prova non esige che queste debbano essere indicate in dettaglio e la relativa identificazione può avvenire anche per mezzo di rinvio per relationem alla declaratoria del contratto collettivo”.

A dire del datore di lavoro, infatti, oltre alla declaratoria generale il CCNL forniva evidenza dettagliata dei compiti di riferimento del livello a cui la lavoratrice era inquadrata: in dettaglio, la posizione veniva identificata dal CCNL come correlata a “lavori di trasporto, carico e carico manuali, pulizia e analoghi, anche con mezzi meccanici”.

Tanto premesso, il datore di lavoro riteneva idoneo il rinvio operato “per relationem” nel contratto individuale e riferito al CCNL, così da integrare il requisito della specificità.

Nel proprio ricorso, l’azienda illustrava come la clausola del contratto individuale secondo cui mansioni ed obiettivi sarebbe stati specificati soltanto in seguito non si sarebbe prestata ad essere interpretata – come ritenuto dalla Corte di merito – nel senso del “difetto di specificità delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto espletarsi la prova”, bensì come “rinvio a necessarie «microindicazioni» di servizio con le quali la parte datoriale avrebbe provveduto quotidianamente a precisare il contenuto delle mansioni in funzione del concreto espletamento delle stesse”.

Il ricorso della parte datoriale non ha trovato, però, accoglimento presso la Corte di Cassazione: i giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato come la causa del patto di prova debba essere individuata “nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto”.

La Suprema Corte ha osservato, inoltre, che “l’esigenza di specificità, che nell’ipotesi di lavoratore parzialmente invalido deve essere valutata con particolare rigore […] è funzionale al corretto esperimento del periodo di prova ed alla valutazione del relativo esito che deve essere effettuata in relazione alla prestazione e mansioni di assegnazione quali individuate nel contratto individuale; la specificazione può avvenire […] anche tramite il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all’inquadramento del lavoratore, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria”.

Secondo i giudici la sentenza impugnata non escludeva, in astratto, la possibilità di integrare la clausola del contratto individuale per mezzo del rinvio ai contenuti della qualifica e del livello di inquadramento del contratto collettivo corrispondenti a quelli attribuiti alla lavoratrice. In ogni, caso, tale riferimento non vale “in relazione alla fattispecie in esame a conferire specificità al contenuto delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova”. Ciò in ragione del fatto che “la declaratoria collettiva relativa alla posizione professionale di inquadramento della lavoratrice evocava fra i compiti di possibile adibizione, accanto a quelli di pulizia, lavori agli stessi «analoghi»”, ampliando dunque in maniera indefinita l’ambito delle mansioni in concreto riconducibili al livello considerato.

Il ricorso del datore di lavoro è stato quindi rigettato, non essendo possibile instaurare alcun automatismo tra richiamo alla contrattazione collettiva e valutazione di specificità della clausola di prova.

Aprile 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Cartai (Industria) e CCNL Grafici editoriali (Industria): elemento di garanzia retributiva

Ai lavoratori a tempo indeterminato in forza dal 1° gennaio 2021 è dovuto, con le competenze del mese di aprile, un importo di Euro 250,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL.

L’obbligo riguarda (i) le aziende che non abbiano ricorso alla contrattazione di II livello negli ultimi tre anni e (ii) i lavoratori che non abbiano ricevuto, nello stesso periodo, nessun altro trattamento economico collettivo, inclusi quelli a titolo di liberalità, in aggiunta a quanto spettante a norma del contratto collettivo.

  • CCNL Ceramica, chimica (Piccola industria, fino a 49 dipendenti), CCNL Moda, chimica ceramica, decorazione piastrelle terzo fuoco e CCNL Tessili (Piccola industria – Confartigianato): diaria

Con riferimento al solo settore “coibenti”, dal mese di aprile 2022 l’importo della diaria è fissato in Euro 35,00, con esclusione del pernottamento. Quest’ultimo, infatti, rientra nel rimborso spese qualora si renda necessario per la natura della trasferta.

  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria) e CCNL Pelli e cuoio (Industria): previdenza complementare

Fermo restando il contributo a previdenza complementare a carico del lavoratore pari a 1,50%, dal 1° aprile 2022 il contributo a carico dell’azienda è elevato al 2,00%.

  • CCNL Telecomunicazioni: elemento di garanzia retributiva

Con le competenze del mese di aprile, ai dipendenti assunti a tempo indeterminato presso aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato e che non abbiano percepito nel corso del 2021 altri trattamenti economici individuali o collettivi comunque soggetti a contribuzione oltre a quanto spettante dal CCNL, sarà riconosciuto un importo annuo pari a Euro 260,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL stesso.

Il trattamento viene corrisposto pro-quota con riferimento a tanti dodicesimi quanti sono i mesi di servizio prestati dal lavoratore nell’anno precedente.

  • CCNL Metalmeccanici (Piccola industria – Confimi): contributi contrattuali

Il 20 aprile 2022 è in scadenza il versamento dei contributi contrattuali obbligatori dovuti a Confimi e riferiti al primo trimestre del 2022.

Il contributo mensile ammonta ad Euro 0,50 per ciascun dipendente in forza e deve essere versato trimestralmente, entro il giorno 20 del mese successivo al trimestre di competenza.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° aprile 2022

A decorrere dal 1° aprile 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Abbigliamento (Industria);
  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria);
  • CCNL Pelli e cuoio (Industria);
  • CCNL Studi professionali (Unimpresa/UNIAP/Confail);
  • CCNL Terziario, servizi (CIFA/Confsal);
  • CCNL Tessili (Industria).
  • “Una tantum”

Nel mese di aprile 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai dipendenti i cui rapporti di lavoro sono regolati dai seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio);
  • CCNL Alimentari (Artigianato);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende municipalizzate);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende private);
  • CCNL Panificatori (Artigianato);
  • CCNL Telecomunicazioni;
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Artigianato);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Confetra);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (FAI);
  • CCNL Trasporto, facchinaggio (Cooperative).

COVID-19: proroga dei trattamenti di integrazione salariale per le imprese di rilevante interesse strategico nazionale

L’INPS, con il messaggio n. 816 del 18 febbraio 2022, ha fornito istruzioni utili affinché le imprese di “rilevante interesse strategico nazionale” possano beneficiare della proroga dei trattamenti di integrazione salariale introdotta dal Decreto-legge n. 4/2022 (c.d. “Decreto Sostegni ter”, di seguito il “Decreto”).

In particolare, l’articolo 22, comma 1 del Decreto ha disposto che “in via eccezionale, le imprese con un numero di lavoratori dipendenti non inferiore a mille che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale […] possono presentare domanda di proroga del trattamento di integrazione salariale […] per una durata massima di ulteriori ventisei settimane fruibili fino al 31 marzo 2022, nel limite massimo di spesa di 42,7 milioni di euro”.

Domanda di CIGO con causale “COVID-19 – D.L. 4/2022”

Alla luce di tale intervento normativo, l’INPS illustra che le imprese incluse nella platea delineata dal legislatore possono presentare domanda di CIGO con la causale “COVID-19 – D.L. 4/2022”, per un periodo di durata massima pari a 13 settimane. Il periodo di integrazione salariale può essere collocato anche in continuità con i precedenti periodi di trattamento autorizzati ed è fruibile entro il 31 marzo 2022.

Gli stessi datori di lavoro, con una ulteriore e separata domanda, possono chiedere la proroga del periodo di integrazione salariale come sopra delineato sino ad un massimo di ulteriori 13 settimane, completando in tal modo le complessive 26 settimane previste dall’articolo 22 del Decreto. Anche tale periodo di proroga deve essere richiesto con la causale “COVID-19 – D.L. 4/2022” ed è fruibile entro e non oltre il 31 marzo 2022.

Le domande con causale “COVID 19 – D.L. 4/2022” per i periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa:

  • decorrenti da data anteriore al 28 febbraio 2022 devono essere inviate entro e non oltre il 31 marzo 2022;
  • decorrenti dal 1° marzo 2022 devono essere inviate entro e non oltre il 30 aprile 2022.

Ulteriori condizionalità

Secondo l’INPS i datori di lavoro che hanno già trasmesso domande di cassa integrazione con una causale ordinaria per periodi parzialmente o totalmente sovrapposti ai periodi per i quali intendono chiedere i trattamenti in esame, possono chiedere l’annullamento delle istanze già presentate prima di inviare le nuove domande.

Le imprese incluse nel campo di applicazione della norma che hanno in corso un trattamento di cassa integrazione salariale straordinaria e che devono sospendere il programma di CIGS a causa dell’interruzione dell’attività produttiva per effetto dell’emergenza epidemiologica, possono accedere al trattamento di integrazione salariale ordinario in argomento, per una durata massima di 26 settimane, fino al 31 marzo 2022.

Da ultimo, l’INPS ricorda che i lavoratori cui si rivolgono le presenti tutele devono risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione alla data del 27 gennaio 2022, giorno di entrata in vigore del Decreto.

Retribuzioni convenzionali 2022: l’INPS pubblica le istruzioni ai fini previdenziali

L’INPS, con la circolare n. 12 del 26 gennaio 2022, ha illustrato l’ambito di applicazione del D.M. 23 dicembre 2021, che ha individuato le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero.

Ambito di applicazione

Ai fini previdenziali, le retribuzioni convenzionali devono essere prese a riferimento per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori operanti in Paesi extracomunitari non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale. Dette retribuzioni si applicano sia ai lavoratori cittadini italiani che ai lavoratori cittadini stranieri, titolari di un regolare titolo di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia, inviati dal proprio datore di lavoro italiano in un Paese extracomunitario.

È utile ricordare che le retribuzioni convenzionali trovano applicazione, residuamene, anche nei confronti dei lavoratori inviati in Paesi convenzionati con l’Italia dal punto di vista previdenziale, con riferimento alle sole assicurazioni non incluse negli accordi di sicurezza sociale vigenti.

Calcolo e ragguaglio

Dal punto di vista operativo, l’INPS rammenta che “per i lavoratori per i quali sono previste fasce di retribuzione, la retribuzione convenzionale imponibile è determinata sulla base del raffronto con la fascia di retribuzione nazionale corrispondente”, di cui alle tabelle individuate con riferimento ai contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per le diverse categorie.

Ai fini dell’attuazione della disposizione relativa alle fasce di retribuzione, viene precisato che per retribuzione nazionale si intende “il trattamento previsto per il lavoratore dal contratto collettivo, comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo tra le parti, con esclusione dell’indennità estero”. L’importo così calcolato deve essere diviso per dodici e, raffrontando il risultato del calcolo con le tabelle del settore corrispondente, deve essere individuata la fascia retributiva da prendere a riferimento ai fini degli adempimenti contributivi.

I valori convenzionali individuati in virtù del calcolo descritto dall’INPS possono essere ragguagliati a giornata solo in caso di assunzione, di risoluzione del rapporto, di trasferimento nel corso del mese. In tali fattispecie, l’imponibile mensile deve essere diviso per 26 giornate e, successivamente, il valore ottenuto deve essere moltiplicato per il numero dei giorni compresi nella frazione di mese interessata, escluse le domeniche.

Casi particolari e regolarizzazioni contributive

La retribuzione individuata secondo i criteri illustrati può subire variazioni nel caso di:

  • passaggio da una qualifica all’altra nel corso del mese e;
  • mutamento nel corso del mese del trattamento economico individuale da contratto collettivo, nell’ambito della qualifica di “quadro”, “dirigente” e “giornalista”, o per passaggio di qualifica.

In questi due casi – illustra l’INPS – deve essere applicata la retribuzione convenzionale corrispondente al mutamento intervenuto con la stessa decorrenza della nuova qualifica o della variazione del trattamento economico individuale.

Un caso ulteriore è quello in cui maturino nel corso dell’anno compensi variabili, dovuti, ad esempio, a lavoro straordinario e premi. Occorrerà, non essendo tali somme considerate ai fini dell’individuazione della fascia di retribuzione applicabile, rideterminarne l’importo, comprensivo delle predette voci retributive, e ridividere il valore così ottenuto per dodici mensilità.

Se per effetto di tale ricalcolo si dovesse determinare un valore retributivo mensile che comporta una modifica della fascia da prendere a riferimento nell’anno per il calcolo della contribuzione rispetto a quella adottata, sarà necessario procedere ad un’operazione di conguaglio sui periodi pregressi, a partire dal mese di gennaio dell’anno in corso.

Infine, l’INPS conclude con l’istituto della regolarizzazione per i datori di lavoro che, per il mese di gennaio 2022, hanno operato in difformità rispetto alle istruzioni della circolare emanata. Per procedere alla regolarizzazione, i datori di lavoro coinvolti hanno tempo fino al giorno 16 del terzo mese successivo alla pubblicazione della circolare in commento, ovverosia fino al 16 aprile 2022.

Agenzia delle Entrate: chiarimenti su regime impatriati e riassunzione

Con la risposta ad interpello n. 85/2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che il dipendente – assunto con contratto di diritto locale presso la consociata estera a cui era stato inizialmente distaccato e rientrato in Italia per essere assunto dall’azienda che originariamente l’aveva distaccato – può beneficiare del regime agevolato impatriati.

I fatti oggetto dell’istanza di interpello

L’istante, cittadino italiano residente all’estero, chiedeva all’Agenzia delle Entrate se avrebbe potuto beneficiare del regime fiscale speciale per lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D. Lgs. 147/2015 al rientro in Italia, a seguito di assunzione a tempo indeterminato da parte di una società italiana presso cui era in forza prima dell’espatrio.

In particolare, l’istante dichiarava che:

  • era stato assunto presso la Società italiana ALFA nel 1998 e che era stato dalla stessa distaccato all’estero presso la Società BETA (società del gruppo) dal 2016 al 2017;
  • era stato assunto dalla Società BETA a tempo indeterminato nel 2017 con contratto di diritto estero ed assegnato alle funzioni di Managing Director;
  • era iscritto, a decorrere dal 2015, all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero);
  • aveva ricevuto proposta di assunzione a tempo indeterminato, con qualifica di dirigente, dalla Società italiana ALFA con decorrenza dal 1° gennaio 2022, senza riconoscimento di alcuna anzianità convenzionale e con la pattuizione di un periodo di prova;
  • il ruolo dirigenziale proposto dalla Società ALFA non si poneva in continuità con il ruolo ricoperto né durante il distacco né prima dell’espatrio.

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, riprendendo quanto chiarito con la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, osserva che il beneficio “lavoratori impatriati” non spetta ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di distacco all’estero in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro. Diversamente, precisa l’Ente, “nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una nuova attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in esser in Italia prima del distacco – quindi l’impatriato assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario – lo stesso (ndr il lavoratore) potrà accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia”.

Al riguardo, l’autorità fiscale precisa che l’agevolazionenon è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di un nuovo ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio”.

L’Agenzia chiarisce, infatti, che esistono dei precisi indici che dimostrano la continuità sostanziale del nuovo rapporto di lavoro rispetto a quello espletato prima del distacco, ovverosia:

  • il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo contratto;
  • il riconoscimento dell’anzianità contrattuale;
  • l’assenza del periodo di prova;
  • clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo contratto;
  • clausole in cui si prevede che, alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la società di appartenenza in vigore prima del distacco.

In considerazione di tutto quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’Istante possa beneficiare del regime fiscale agevolato in argomento. Ciò in quanto il rapporto di lavoro proposto dalla Società ALFA risulta essere un nuovo rapporto di lavoro, non in continuità con il precedente non sussistendo alcun indicatore sopra citato. Non da ultimo, l’Agenzia precisa che l’autonomia dei rapporti contrattuali all’interno di un gruppo societario non è ostativa alla fruizione del beneficio fiscale.

Mancata apposizione del termine al contratto a tempo determinato: il rapporto risulta a tempo indeterminato ab origine (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37905 del 2 dicembre 2021, si è espressa in merito al regime sanzionatorio previsto nel caso della mancata apposizione scritta del termine al contratto di lavoro a tempo determinato.

In particolare, i fatti di causa hanno visto un lavoratore depositare un ricorso presso il Tribunale di Pescara, convenendo in giudizio il proprio ex datore di lavoro. Tale ricorso mirava ad ottenere l’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi tra le parti dal 28 febbraio 2013 al 30 marzo 2013, l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli dal datore di lavoro medesimo nell’aprile 2013, la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità dall’ultima retribuzione, oltre al risarcimento del danno parametrato alla mensilità di retribuzione globale di fatto dalla costituzione in mora fino all’introduzione del giudizio.

Il tribunale adito, con ordinanza del 17 luglio 2017, accoglieva soltanto parzialmente il ricorso: in particolare, veniva accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi, così come l’inefficacia del licenziamento orale. Il datore di lavoro, pertanto, veniva condannato a corrispondere al lavoratore ricorrente l’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità di retribuzione, oltre al risarcimento del danno quantificato in sei mensilità della retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale, in seguito, accoglieva in parte il reclamo del datore di lavoro avverso la sentenza di primo grado e, in parziale riforma della sentenza impugnata, previo accertamento della esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine, lo condannava alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno nella misura di 2,5 mensilità dall’ultima retribuzione.

Il contenzioso sfociava in Cassazione, cui entrambe le parti si appellavano per vedere tutelati i propri diritti. In particolare, il datore di lavoro denunciava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del D.Lgs n. 368/2001 (il quale prevede la nullità del rapporto di lavoro a termine in mancanza di atto scritto) e dell’art. 32, co. 5, della L. n. 183/10 (il quale normava i criteri di determinazione del risarcimento dovuto al lavoratore nei casi di conversione del contratto a tempo determinato), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il contratto a termine privo di forma scritta fosse da sanzionare con la sola indennità di cui al detto art. 32 co. 5.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso, poiché “non può ritenersi esistente (prima ancora che valido) un contratto a termine stipulato non in forma scritta, ex art. 1, co.2, D.Lgs n. 368/01 (nella specie il dedotto contratto di assunzione non venne sottoscritto da alcuna delle parti)”. A dire dei giudici, di ciò si avvede anche la sentenza impugnata, la quale ha effettivamente accertato la sussistenza ab origine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, “la cui cessazione non è sanzionata semplicemente ed affatto dall’art. 32, co. 5 L. n. 183/10 (che presuppone la conversione di un rapporto di lavoro a temine, pur illegittimo)”.

Altresì, la Cassazione osserva come la relativa indennità sia soggetta ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di conversione del rapporto – la quale, nel caso di specie, non è mai intervenuta.

Pertanto, a dire della Suprema Corte “la sentenza impugnata è affetta da un insanabile vizio di motivazione (per assoluta contraddittorietà)”: questa ha infatti affermato, per un verso, che il rapporto di lavoro dovesse considerarsi come contratto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’inizio, salvo sanzionare, per l’altro verso, il recesso del datore di lavoro col regime indennitario di cui all’art. 32, co. 5 citato in precedenza, previsto per il caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro geneticamente a termine ed illegittimo. La sentenza impugnata viene dunque cassata, sussistendo ab origine un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con rinvio alla Corte d’appello di competente in diversa composizione.

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