Patto di prova: requisito di specificità e rinvio alla contrattazione collettiva nel contratto di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi- Ordine dei Consulenti del Lavoro, marzo 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1099 del 14 gennaio 2022, si è espressa in merito al requisito di specificità del patto di prova e alla sua declinazione nel contratto individuale di lavoro.

In particolare, i fatti di causa hanno visto una lavoratrice agire al fine di ottenere l’accertamento della nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro a tempo determinato intercorso con un datore di lavoro, il quale aveva operato il recesso per mancato superamento della prova stessa. Al contempo, di conseguenza, il lavoratore chiedeva anche la nullità del recesso datoriale e la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni che avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del rapporto di lavoro. Tale risarcimento del danno avveniva anche in virtù del difficile reperimento di altra occupazione a seguito del recesso, considerato il proprio status di invalidità a 46%.

La sentenza di primo grado accoglieva quanto avanzato dalla lavoratrice e tale pronuncia veniva ribadita in appello.

In particolare, nei due gradi di giudizio veniva accertato il “difetto di specificità del patto di prova nella individuazione delle mansioni di concreta adibizione della lavoratrice”.

Secondo il giudice d’appello, infatti, il contratto di lavoro stipulato tra le parti non riportava, in concreto, l’indicazione dei compiti a cui sarebbe stata adibita la lavoratrice. Difatti, il riferimento nel contratto individuale alla figura dell’«addetto ai lavori non rientranti nel ciclo produttivo» rendeva “priva di concretezza la indicazione dei compiti ai quali sarebbe stata adibita la lavoratrice”; analogamente, il rinvio operato dal contratto al «livello I 3» del CCNL applicato “non conferiva specificità alle mansioni da svolgere in ragione del fatto che la previsione collettiva menzionava fra i compiti riconducibili al detto livello «lavori analoghi a lavori di pulizia», senza ulteriore specificazione o esemplificazione”.

Infine, aggiuntivo elemento di incertezza in relazione ai compiti oggetto della prova era costituito dalla clausola del contratto individuale secondo cui le mansioni e gli obiettivi assegnati sarebbero stati specificati soltanto in seguito rispetto al momento dell’assunzione.

Avverso la sentenza di appello il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, con diversi motivi di ricorso. In particolare, l’azienda riteneva che “la necessità di specificazione delle mansioni di adibizione al fine del patto di prova non esige che queste debbano essere indicate in dettaglio e la relativa identificazione può avvenire anche per mezzo di rinvio per relationem alla declaratoria del contratto collettivo”.

A dire del datore di lavoro, infatti, oltre alla declaratoria generale il CCNL forniva evidenza dettagliata dei compiti di riferimento del livello a cui la lavoratrice era inquadrata: in dettaglio, la posizione veniva identificata dal CCNL come correlata a “lavori di trasporto, carico e carico manuali, pulizia e analoghi, anche con mezzi meccanici”.

Tanto premesso, il datore di lavoro riteneva idoneo il rinvio operato “per relationem” nel contratto individuale e riferito al CCNL, così da integrare il requisito della specificità.

Nel proprio ricorso, l’azienda illustrava come la clausola del contratto individuale secondo cui mansioni ed obiettivi sarebbe stati specificati soltanto in seguito non si sarebbe prestata ad essere interpretata – come ritenuto dalla Corte di merito – nel senso del “difetto di specificità delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto espletarsi la prova”, bensì come “rinvio a necessarie «microindicazioni» di servizio con le quali la parte datoriale avrebbe provveduto quotidianamente a precisare il contenuto delle mansioni in funzione del concreto espletamento delle stesse”.

Il ricorso della parte datoriale non ha trovato, però, accoglimento presso la Corte di Cassazione: i giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato come la causa del patto di prova debba essere individuata “nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto”.

La Suprema Corte ha osservato, inoltre, che “l’esigenza di specificità, che nell’ipotesi di lavoratore parzialmente invalido deve essere valutata con particolare rigore […] è funzionale al corretto esperimento del periodo di prova ed alla valutazione del relativo esito che deve essere effettuata in relazione alla prestazione e mansioni di assegnazione quali individuate nel contratto individuale; la specificazione può avvenire […] anche tramite il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all’inquadramento del lavoratore, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria”.

Secondo i giudici la sentenza impugnata non escludeva, in astratto, la possibilità di integrare la clausola del contratto individuale per mezzo del rinvio ai contenuti della qualifica e del livello di inquadramento del contratto collettivo corrispondenti a quelli attribuiti alla lavoratrice. In ogni, caso, tale riferimento non vale “in relazione alla fattispecie in esame a conferire specificità al contenuto delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova”. Ciò in ragione del fatto che “la declaratoria collettiva relativa alla posizione professionale di inquadramento della lavoratrice evocava fra i compiti di possibile adibizione, accanto a quelli di pulizia, lavori agli stessi «analoghi»”, ampliando dunque in maniera indefinita l’ambito delle mansioni in concreto riconducibili al livello considerato.

Il ricorso del datore di lavoro è stato quindi rigettato, non essendo possibile instaurare alcun automatismo tra richiamo alla contrattazione collettiva e valutazione di specificità della clausola di prova.

Aprile 2022: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  • CCNL Cartai (Industria) e CCNL Grafici editoriali (Industria): elemento di garanzia retributiva

Ai lavoratori a tempo indeterminato in forza dal 1° gennaio 2021 è dovuto, con le competenze del mese di aprile, un importo di Euro 250,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL.

L’obbligo riguarda (i) le aziende che non abbiano ricorso alla contrattazione di II livello negli ultimi tre anni e (ii) i lavoratori che non abbiano ricevuto, nello stesso periodo, nessun altro trattamento economico collettivo, inclusi quelli a titolo di liberalità, in aggiunta a quanto spettante a norma del contratto collettivo.

  • CCNL Ceramica, chimica (Piccola industria, fino a 49 dipendenti), CCNL Moda, chimica ceramica, decorazione piastrelle terzo fuoco e CCNL Tessili (Piccola industria – Confartigianato): diaria

Con riferimento al solo settore “coibenti”, dal mese di aprile 2022 l’importo della diaria è fissato in Euro 35,00, con esclusione del pernottamento. Quest’ultimo, infatti, rientra nel rimborso spese qualora si renda necessario per la natura della trasferta.

  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria) e CCNL Pelli e cuoio (Industria): previdenza complementare

Fermo restando il contributo a previdenza complementare a carico del lavoratore pari a 1,50%, dal 1° aprile 2022 il contributo a carico dell’azienda è elevato al 2,00%.

  • CCNL Telecomunicazioni: elemento di garanzia retributiva

Con le competenze del mese di aprile, ai dipendenti assunti a tempo indeterminato presso aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato e che non abbiano percepito nel corso del 2021 altri trattamenti economici individuali o collettivi comunque soggetti a contribuzione oltre a quanto spettante dal CCNL, sarà riconosciuto un importo annuo pari a Euro 260,00 lordi ovvero una cifra inferiore fino a concorrenza in caso di presenza di un trattamento economico aggiuntivo a quello fissato dal CCNL stesso.

Il trattamento viene corrisposto pro-quota con riferimento a tanti dodicesimi quanti sono i mesi di servizio prestati dal lavoratore nell’anno precedente.

  • CCNL Metalmeccanici (Piccola industria – Confimi): contributi contrattuali

Il 20 aprile 2022 è in scadenza il versamento dei contributi contrattuali obbligatori dovuti a Confimi e riferiti al primo trimestre del 2022.

Il contributo mensile ammonta ad Euro 0,50 per ciascun dipendente in forza e deve essere versato trimestralmente, entro il giorno 20 del mese successivo al trimestre di competenza.

  • Aumento dei minimi retributivi dal 1° aprile 2022

A decorrere dal 1° aprile 2022 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Abbigliamento (Industria);
  • CCNL Ombrelli e ombrelloni (Industria);
  • CCNL Pelli e cuoio (Industria);
  • CCNL Studi professionali (Unimpresa/UNIAP/Confail);
  • CCNL Terziario, servizi (CIFA/Confsal);
  • CCNL Tessili (Industria).
  • “Una tantum”

Nel mese di aprile 2022 è prevista l’erogazione di importi a titolo di “una tantum” ai dipendenti i cui rapporti di lavoro sono regolati dai seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio);
  • CCNL Alimentari (Artigianato);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende municipalizzate);
  • CCNL Nettezza urbana (Aziende private);
  • CCNL Panificatori (Artigianato);
  • CCNL Telecomunicazioni;
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Artigianato);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (Confetra);
  • CCNL Trasporto e spedizione merci (FAI);
  • CCNL Trasporto, facchinaggio (Cooperative).

COVID-19: proroga dei trattamenti di integrazione salariale per le imprese di rilevante interesse strategico nazionale

L’INPS, con il messaggio n. 816 del 18 febbraio 2022, ha fornito istruzioni utili affinché le imprese di “rilevante interesse strategico nazionale” possano beneficiare della proroga dei trattamenti di integrazione salariale introdotta dal Decreto-legge n. 4/2022 (c.d. “Decreto Sostegni ter”, di seguito il “Decreto”).

In particolare, l’articolo 22, comma 1 del Decreto ha disposto che “in via eccezionale, le imprese con un numero di lavoratori dipendenti non inferiore a mille che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale […] possono presentare domanda di proroga del trattamento di integrazione salariale […] per una durata massima di ulteriori ventisei settimane fruibili fino al 31 marzo 2022, nel limite massimo di spesa di 42,7 milioni di euro”.

Domanda di CIGO con causale “COVID-19 – D.L. 4/2022”

Alla luce di tale intervento normativo, l’INPS illustra che le imprese incluse nella platea delineata dal legislatore possono presentare domanda di CIGO con la causale “COVID-19 – D.L. 4/2022”, per un periodo di durata massima pari a 13 settimane. Il periodo di integrazione salariale può essere collocato anche in continuità con i precedenti periodi di trattamento autorizzati ed è fruibile entro il 31 marzo 2022.

Gli stessi datori di lavoro, con una ulteriore e separata domanda, possono chiedere la proroga del periodo di integrazione salariale come sopra delineato sino ad un massimo di ulteriori 13 settimane, completando in tal modo le complessive 26 settimane previste dall’articolo 22 del Decreto. Anche tale periodo di proroga deve essere richiesto con la causale “COVID-19 – D.L. 4/2022” ed è fruibile entro e non oltre il 31 marzo 2022.

Le domande con causale “COVID 19 – D.L. 4/2022” per i periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa:

  • decorrenti da data anteriore al 28 febbraio 2022 devono essere inviate entro e non oltre il 31 marzo 2022;
  • decorrenti dal 1° marzo 2022 devono essere inviate entro e non oltre il 30 aprile 2022.

Ulteriori condizionalità

Secondo l’INPS i datori di lavoro che hanno già trasmesso domande di cassa integrazione con una causale ordinaria per periodi parzialmente o totalmente sovrapposti ai periodi per i quali intendono chiedere i trattamenti in esame, possono chiedere l’annullamento delle istanze già presentate prima di inviare le nuove domande.

Le imprese incluse nel campo di applicazione della norma che hanno in corso un trattamento di cassa integrazione salariale straordinaria e che devono sospendere il programma di CIGS a causa dell’interruzione dell’attività produttiva per effetto dell’emergenza epidemiologica, possono accedere al trattamento di integrazione salariale ordinario in argomento, per una durata massima di 26 settimane, fino al 31 marzo 2022.

Da ultimo, l’INPS ricorda che i lavoratori cui si rivolgono le presenti tutele devono risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione alla data del 27 gennaio 2022, giorno di entrata in vigore del Decreto.

Retribuzioni convenzionali 2022: l’INPS pubblica le istruzioni ai fini previdenziali

L’INPS, con la circolare n. 12 del 26 gennaio 2022, ha illustrato l’ambito di applicazione del D.M. 23 dicembre 2021, che ha individuato le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero.

Ambito di applicazione

Ai fini previdenziali, le retribuzioni convenzionali devono essere prese a riferimento per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori operanti in Paesi extracomunitari non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale. Dette retribuzioni si applicano sia ai lavoratori cittadini italiani che ai lavoratori cittadini stranieri, titolari di un regolare titolo di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia, inviati dal proprio datore di lavoro italiano in un Paese extracomunitario.

È utile ricordare che le retribuzioni convenzionali trovano applicazione, residuamene, anche nei confronti dei lavoratori inviati in Paesi convenzionati con l’Italia dal punto di vista previdenziale, con riferimento alle sole assicurazioni non incluse negli accordi di sicurezza sociale vigenti.

Calcolo e ragguaglio

Dal punto di vista operativo, l’INPS rammenta che “per i lavoratori per i quali sono previste fasce di retribuzione, la retribuzione convenzionale imponibile è determinata sulla base del raffronto con la fascia di retribuzione nazionale corrispondente”, di cui alle tabelle individuate con riferimento ai contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per le diverse categorie.

Ai fini dell’attuazione della disposizione relativa alle fasce di retribuzione, viene precisato che per retribuzione nazionale si intende “il trattamento previsto per il lavoratore dal contratto collettivo, comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo tra le parti, con esclusione dell’indennità estero”. L’importo così calcolato deve essere diviso per dodici e, raffrontando il risultato del calcolo con le tabelle del settore corrispondente, deve essere individuata la fascia retributiva da prendere a riferimento ai fini degli adempimenti contributivi.

I valori convenzionali individuati in virtù del calcolo descritto dall’INPS possono essere ragguagliati a giornata solo in caso di assunzione, di risoluzione del rapporto, di trasferimento nel corso del mese. In tali fattispecie, l’imponibile mensile deve essere diviso per 26 giornate e, successivamente, il valore ottenuto deve essere moltiplicato per il numero dei giorni compresi nella frazione di mese interessata, escluse le domeniche.

Casi particolari e regolarizzazioni contributive

La retribuzione individuata secondo i criteri illustrati può subire variazioni nel caso di:

  • passaggio da una qualifica all’altra nel corso del mese e;
  • mutamento nel corso del mese del trattamento economico individuale da contratto collettivo, nell’ambito della qualifica di “quadro”, “dirigente” e “giornalista”, o per passaggio di qualifica.

In questi due casi – illustra l’INPS – deve essere applicata la retribuzione convenzionale corrispondente al mutamento intervenuto con la stessa decorrenza della nuova qualifica o della variazione del trattamento economico individuale.

Un caso ulteriore è quello in cui maturino nel corso dell’anno compensi variabili, dovuti, ad esempio, a lavoro straordinario e premi. Occorrerà, non essendo tali somme considerate ai fini dell’individuazione della fascia di retribuzione applicabile, rideterminarne l’importo, comprensivo delle predette voci retributive, e ridividere il valore così ottenuto per dodici mensilità.

Se per effetto di tale ricalcolo si dovesse determinare un valore retributivo mensile che comporta una modifica della fascia da prendere a riferimento nell’anno per il calcolo della contribuzione rispetto a quella adottata, sarà necessario procedere ad un’operazione di conguaglio sui periodi pregressi, a partire dal mese di gennaio dell’anno in corso.

Infine, l’INPS conclude con l’istituto della regolarizzazione per i datori di lavoro che, per il mese di gennaio 2022, hanno operato in difformità rispetto alle istruzioni della circolare emanata. Per procedere alla regolarizzazione, i datori di lavoro coinvolti hanno tempo fino al giorno 16 del terzo mese successivo alla pubblicazione della circolare in commento, ovverosia fino al 16 aprile 2022.

Agenzia delle Entrate: chiarimenti su regime impatriati e riassunzione

Con la risposta ad interpello n. 85/2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che il dipendente – assunto con contratto di diritto locale presso la consociata estera a cui era stato inizialmente distaccato e rientrato in Italia per essere assunto dall’azienda che originariamente l’aveva distaccato – può beneficiare del regime agevolato impatriati.

I fatti oggetto dell’istanza di interpello

L’istante, cittadino italiano residente all’estero, chiedeva all’Agenzia delle Entrate se avrebbe potuto beneficiare del regime fiscale speciale per lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del D. Lgs. 147/2015 al rientro in Italia, a seguito di assunzione a tempo indeterminato da parte di una società italiana presso cui era in forza prima dell’espatrio.

In particolare, l’istante dichiarava che:

  • era stato assunto presso la Società italiana ALFA nel 1998 e che era stato dalla stessa distaccato all’estero presso la Società BETA (società del gruppo) dal 2016 al 2017;
  • era stato assunto dalla Società BETA a tempo indeterminato nel 2017 con contratto di diritto estero ed assegnato alle funzioni di Managing Director;
  • era iscritto, a decorrere dal 2015, all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero);
  • aveva ricevuto proposta di assunzione a tempo indeterminato, con qualifica di dirigente, dalla Società italiana ALFA con decorrenza dal 1° gennaio 2022, senza riconoscimento di alcuna anzianità convenzionale e con la pattuizione di un periodo di prova;
  • il ruolo dirigenziale proposto dalla Società ALFA non si poneva in continuità con il ruolo ricoperto né durante il distacco né prima dell’espatrio.

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, riprendendo quanto chiarito con la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, osserva che il beneficio “lavoratori impatriati” non spetta ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di distacco all’estero in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro. Diversamente, precisa l’Ente, “nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una nuova attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in esser in Italia prima del distacco – quindi l’impatriato assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario – lo stesso (ndr il lavoratore) potrà accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia”.

Al riguardo, l’autorità fiscale precisa che l’agevolazionenon è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di un nuovo ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio”.

L’Agenzia chiarisce, infatti, che esistono dei precisi indici che dimostrano la continuità sostanziale del nuovo rapporto di lavoro rispetto a quello espletato prima del distacco, ovverosia:

  • il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo contratto;
  • il riconoscimento dell’anzianità contrattuale;
  • l’assenza del periodo di prova;
  • clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo contratto;
  • clausole in cui si prevede che, alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la società di appartenenza in vigore prima del distacco.

In considerazione di tutto quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’Istante possa beneficiare del regime fiscale agevolato in argomento. Ciò in quanto il rapporto di lavoro proposto dalla Società ALFA risulta essere un nuovo rapporto di lavoro, non in continuità con il precedente non sussistendo alcun indicatore sopra citato. Non da ultimo, l’Agenzia precisa che l’autonomia dei rapporti contrattuali all’interno di un gruppo societario non è ostativa alla fruizione del beneficio fiscale.

Mancata apposizione del termine al contratto a tempo determinato: il rapporto risulta a tempo indeterminato ab origine (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2022)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37905 del 2 dicembre 2021, si è espressa in merito al regime sanzionatorio previsto nel caso della mancata apposizione scritta del termine al contratto di lavoro a tempo determinato.

In particolare, i fatti di causa hanno visto un lavoratore depositare un ricorso presso il Tribunale di Pescara, convenendo in giudizio il proprio ex datore di lavoro. Tale ricorso mirava ad ottenere l’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi tra le parti dal 28 febbraio 2013 al 30 marzo 2013, l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli dal datore di lavoro medesimo nell’aprile 2013, la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità dall’ultima retribuzione, oltre al risarcimento del danno parametrato alla mensilità di retribuzione globale di fatto dalla costituzione in mora fino all’introduzione del giudizio.

Il tribunale adito, con ordinanza del 17 luglio 2017, accoglieva soltanto parzialmente il ricorso: in particolare, veniva accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi, così come l’inefficacia del licenziamento orale. Il datore di lavoro, pertanto, veniva condannato a corrispondere al lavoratore ricorrente l’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità di retribuzione, oltre al risarcimento del danno quantificato in sei mensilità della retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale, in seguito, accoglieva in parte il reclamo del datore di lavoro avverso la sentenza di primo grado e, in parziale riforma della sentenza impugnata, previo accertamento della esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine, lo condannava alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno nella misura di 2,5 mensilità dall’ultima retribuzione.

Il contenzioso sfociava in Cassazione, cui entrambe le parti si appellavano per vedere tutelati i propri diritti. In particolare, il datore di lavoro denunciava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del D.Lgs n. 368/2001 (il quale prevede la nullità del rapporto di lavoro a termine in mancanza di atto scritto) e dell’art. 32, co. 5, della L. n. 183/10 (il quale normava i criteri di determinazione del risarcimento dovuto al lavoratore nei casi di conversione del contratto a tempo determinato), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il contratto a termine privo di forma scritta fosse da sanzionare con la sola indennità di cui al detto art. 32 co. 5.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso, poiché “non può ritenersi esistente (prima ancora che valido) un contratto a termine stipulato non in forma scritta, ex art. 1, co.2, D.Lgs n. 368/01 (nella specie il dedotto contratto di assunzione non venne sottoscritto da alcuna delle parti)”. A dire dei giudici, di ciò si avvede anche la sentenza impugnata, la quale ha effettivamente accertato la sussistenza ab origine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, “la cui cessazione non è sanzionata semplicemente ed affatto dall’art. 32, co. 5 L. n. 183/10 (che presuppone la conversione di un rapporto di lavoro a temine, pur illegittimo)”.

Altresì, la Cassazione osserva come la relativa indennità sia soggetta ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di conversione del rapporto – la quale, nel caso di specie, non è mai intervenuta.

Pertanto, a dire della Suprema Corte “la sentenza impugnata è affetta da un insanabile vizio di motivazione (per assoluta contraddittorietà)”: questa ha infatti affermato, per un verso, che il rapporto di lavoro dovesse considerarsi come contratto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’inizio, salvo sanzionare, per l’altro verso, il recesso del datore di lavoro col regime indennitario di cui all’art. 32, co. 5 citato in precedenza, previsto per il caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro geneticamente a termine ed illegittimo. La sentenza impugnata viene dunque cassata, sussistendo ab origine un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con rinvio alla Corte d’appello di competente in diversa composizione.

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