1. CCNL Cooperative Sociali – Retribuzione
A partire dal 1° novembre 2025 verrà corrisposto un elemento temporaneo aggiuntivo della retribuzione mensile del valore economico di euro 82.00 per gli educatori professionali socio-pedagogici inquadrati al profilo D1.
2. CCNL Elettrici– Permessi
A decorrere dal 2025 nella giornata del 2 novembre e nelle vigilie di Natale (24 dicembre) e Capodanno (31 dicembre), le aziende concedono al personale non indispensabile alle necessità del servizio un permesso retribuito per l’intera giornata lavorativa.
3. CCNL Noleggio Autobus Con Conducente – Orario di lavoro
Entro novembre 2025, a sei mesi dal rinnovo del 23 maggio 2025, le parti, a livello aziendale, sono chiamate a definire un accordo per la rivisitazione della regolamentazione dell’articolazione dell’orario di lavoro. Al raggiungimento dell’intesa è condizionata l’erogazione di una quota del trattamento economico complessivo pari a 40 euro lordi mensili per 12 mesi. In caso di mancato raggiungimento dell’accordo, dal 1° gennaio 2026 andrà riconosciuto il 50% dell’importo. Resta la facoltà delle parti di convertire tale importo in due giornate di permesso retribuito.
4. CCNL Studi Dei Revisori Legali E Tributaristi – Indennità di vacanza contrattuale
Ai lavoratori spetta l’Indennità di Vacanza Contrattuale (I.V.C.) per il periodo da settembre 2024 a dicembre 2024. L’importo, stabilito in misura fissa per i diversi livelli di inquadramento, viene riproporzionato, applicando lo stesso criterio della tredicesima mensilità, in caso di rapporti di lavoro a tempo parziale part-time e di assunzioni avvenute tra settembre e dicembre 2024. L’erogazione dell’I.V.C. è stata prevista in tre tranche con le retribuzioni di febbraio, luglio e novembre 2025.
5. CCNL Lapidei (INDUSTRIA)– Welfare
Entro fine novembre i lavoratori ricevono una tranche di 250 euro erogata a titolo di Welfare. L’importo complessivo di 1000 euro è stato previsto in quattro tranche: luglio e novembre 2025, luglio e novembre 2026. In caso di cessazione del rapporto entro il 30 novembre 2026 per accesso al trattamento pensionistico le somme spettano per intero. È prevista la possibilità di erogare il Welfare sotto forma di fringe benefits (nei limiti delle soglie di esenzione stabilite dall’art. 51, c. 3, TUIR) oppure di destinarlo, in tutto o in parte, alla contribuzione del Fondo Arco o di altri fondi chiusi di origine contrattuale e territoriale.
Aumento dei minimi retributivi dal 1° novembre 2025
A decorrere dal 1° novembre 2025 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Una tantum di novembre 2025
Per il mese di novembre 2025 è prevista l’erogazione delle “Una tantum” dei seguenti CCNL:
Scadenze CCNL novembre 2025
Sono in scadenza nel mese di novembre 2025 i seguenti CCNL:
Con la Risposta n. 233/E del 9 settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale degli optional richiesti dai dipendenti sui veicoli aziendali concessi in uso promiscuo. Il quesito nasce dalla prassi di alcune aziende che, pur concedendo gratuitamente l’auto ai dipendenti, permettono loro di personalizzarla con optional, il cui costo viene trattenuto direttamente dalla busta paga.
L’articolo 51, comma 1, del TUIR stabilisce che tutte le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro costituiscono reddito da lavoro dipendente. Questo include anche i cosiddetti fringe benefit, come l’uso promiscuo dell’auto aziendale.
Il comma 3 dello stesso articolo prevede che la valutazione dei beni e servizi offerti al dipendente debba avvenire secondo il valore normale, come definito dall’articolo 9 del TUIR.

Il comma 4, lettera a), dell’articolo 51 introduce una deroga al principio generale, stabilendo che il valore del fringe benefit relativo all’auto aziendale concessa in uso promiscuo sia determinato forfettariamente sulla base delle tabelle ACI, considerando una percorrenza annua convenzionale di 15.000 km.
Dal 1° gennaio 2025, la legge di bilancio ha introdotto una graduazione del beneficio fiscale in base alla tipologia di veicolo:
Il punto centrale dell’interpello riguarda la possibilità di dedurre dal valore del fringe benefit le somme versate dal dipendente per optional aggiuntivi. L’Agenzia chiarisce che:
Le somme trattenute per optional non riducono il valore del fringe benefit determinato secondo le tabelle ACI.
Infatti, la disposizione che consente di dedurre le somme eventualmente trattenute al dipendente si riferisce esclusivamente ai costi richiesti dal datore per l’uso personale del veicolo, e non a spese aggiuntive come gli optional.
In conclusione, la posizione dell’Agenzia delle Entrate conferma un’interpretazione restrittiva del concetto di “somme trattenute” ai fini della riduzione del fringe benefit. Gli optional, quindi, pur essendo a carico del dipendente, non incidono sulla determinazione del fringe benefit.
Con questa interpretazione, l’Agenzia delle Entrate attribuisce alle aziende e ai professionisti che gestiscono le risorse umane la responsabilità di prestare particolare attenzione nel comunicare le somme trattenute ai dipendenti. Infatti, ai fini della corretta determinazione del fringe benefit, sarà necessario valutare attentamente la natura di tali trattenute.
Con la Risposta n. 249 del 18 settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha esaminato il regime fiscale applicabile ai premi relativi a una polizza sanitaria stipulata da un ente pubblico, dotato di autonomia regolamentare, finanziaria, organizzativa, patrimoniale e contabile. L’Ente, che opera sia in Italia che all’estero, ha infatti sottoscritto una copertura assicurativa per i propri dipendenti in servizio presso sedi estere situate in Paesi privi di assistenza sanitaria diretta, estendendola anche ai familiari conviventi a carico. La polizza garantisce prestazioni in caso di malattia, infortunio e maternità. Secondo l’istante, trattandosi di una copertura obbligatoria stipulata in forza di disposizioni normative richiamate dal proprio Statuto, i relativi premi non dovrebbero essere qualificati come fringe benefit ai sensi dell’articolo 51, comma 3, del TUIR, bensì come contributi previdenziali o assistenziali obbligatori, esclusi dalla base imponibile ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR.
L’articolo 51, comma 1, del TUIR stabilisce che costituiscono reddito di lavoro dipendente «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro». Tale disposizione esprime il principio di onnicomprensività, in forza del quale ogni utilità riconosciuta al lavoratore in connessione con il rapporto di lavoro è, in linea generale, imponibile.

Le deroghe a tale principio sono tassative e contenute nei commi successivi. In particolare, il comma 2, lettera a), prevede che non concorrono alla formazione del reddito «i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge». Sul punto, la prassi amministrativa (circ. Min. Finanze 23 dicembre 1997, n. 326) ha chiarito che l’assistenza sociale risponde a finalità fondate sulla solidarietà collettiva a favore di soggetti che versano in uno stato di bisogno, mentre si qualificano come “contributi previdenziali” quei contributi versati in ottemperanza a disposizioni di legge al fine di garantire al dipendente specifiche prestazioni previdenziali.
Alla luce della normativa e della prassi richiamata, l’Agenzia delle Entrate ha escluso che i premi delle polizze sanitarie stipulate dall’Ente possano essere qualificati come contributi previdenziali o assistenziali ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR. Non si riscontra infatti né un obbligo contributivo imposto dalla legge di garantire al dipendente specifiche prestazioni previdenziali, né una finalità di solidarietà collettiva.
Pertanto, non trova applicazione la deroga prevista dal citato comma 2, lettera a), e i premi delle polizze concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 51, comma 1, TUIR, in virtù del principio di onnicomprensività.
L’Amministrazione Finanziaria ha così confermato che, anche in presenza di una copertura assicurativa resa obbligatoria da disposizioni interne o statutarie, il relativo premio mantiene natura retributiva e deve essere trattato fiscalmente come componente del reddito di lavoro dipendente. Per i datori di lavoro che operano in contesti internazionali, ciò significa che la stipula di polizze sanitarie a favore del personale inviato all’estero non consente di beneficiare delle esclusioni previste dall’articolo 51, comma 2, lettera a), TUIR, salvo che vi sia un obbligo normativo espresso.
Il chiarimento assume rilievo pratico anche in ottica preventiva: un’errata qualificazione dei premi assicurativi può comportare la rideterminazione della base imponibile ai fini fiscali e previdenziali, con conseguente applicazione delle relative sanzioni e interessi. È quindi opportuno che le imprese valutino attentamente, già in fase di pianificazione, la natura delle coperture assicurative offerte ai dipendenti e le ricadute sia sul piano tributario sia su quello contributivo.
Con una comunicazione pubblicata sul proprio sito in data 26 settembre 2025, l’INPS ha illustrato le regole per l’accesso all’indennità di maternità e paternità da parte degli iscritti alla Gestione Separata. Tale tutela, spesso associata ai soli lavoratori dipendenti, riguarda invece anche i lavoratori autonomi e i collaboratori, garantendo un sostegno economico durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del bambino.
Per ottenere l’indennità è necessario essere iscritti alla Gestione Separata, non essere titolari di pensione, non risultare coperti da un’altra assicurazione obbligatoria per la maternità e aver versato almeno un mese di contributi alla Gestione Separata nei dodici mesi precedenti il periodo di maternità o paternità.

Il periodo ordinario di maternità copre due mesi prima e tre mesi dopo la data del parto (con possibilità di flessibilità), per un totale di cinque mesi. Durante tale periodo non è obbligatoria l’astensione dal lavoro: la lavoratrice può quindi continuare a svolgere la propria attività e percepire al contempo l’indennità. Inoltre, se nell’anno che precede l’evento il reddito è stato inferiore a 8.145 euro (9.456,53 euro per il 2025), è possibile richiedere ulteriori tre mesi di indennità.
Per quanto riguarda il padre, l’INPS specifica che il congedo di paternità è riconosciuto alle medesime condizioni previste per la madre, qualora quest’ultima non possa usufruirne per morte, grave infermità, abbandono del figlio o affidamento esclusivo al padre. Tuttavia, in tali casi, la durata corrisponde al periodo non fruito dalla madre o, se questa non lavora, a tre mesi dalla data del parto.
L’indennità spettante corrisponde all’80% di 1/365 del reddito utile ai fini contributivi ed è erogata direttamente dall’INPS tramite bonifico bancario o postale. La domanda deve essere presentata online sul portale INPS entro un anno dalla conclusione del periodo indennizzabile; trascorso tale termine, il diritto all’indennità si estingue.
Con l’Interpello n. 3 del 13 ottobre 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito l’ambito applicativo dell’art. 3, comma 3, del D.M. 30 gennaio 2015, relativo al Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC).

In particolare, il Ministero ha precisato che non è possibile ricondurre alla nozione di “scostamento non grave” – per cui è previsto il rilascio del DURC regolare – le situazioni debitorie nei confronti degli enti previdenziali costituite esclusivamente da sanzioni e interessi riferiti ad un’omissione contributiva già sanata. La formulazione testuale della norma, infatti, non legittima tale interpretazione.
Ai fini della regolarità contributiva è necessario che l’ammontare complessivo di eventuali debiti contributivi, sanzioni e interessi, non superi la soglia di 150 euro con riferimento a ciascun ente coinvolto nella verifica, limite entro il quale lo scostamento è considerato “non grave” ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.M. 30 gennaio 2015.
Conoscere e sfruttare le potenzialità del welfare. Digitalizzare il sistema dei benefit. Offrire beni e servizi a beneficio dei lavoratori.
Al verificarsi di specifiche condizioni, la normativa oggi consente di escludere dal reddito di lavoro dipendente i beni e servizi forniti ai lavoratori attraverso piani di welfare, prevedendo, in alcuni casi, un’esenzione totale dal versamento di imposte e contributi.
Oltre agli evidenti vantaggi fiscali, integrare il welfare nelle politiche aziendali può rappresentare un elemento strategico per promuovere il benessere organizzativo, attrarre nuove risorse e valorizzare quelle già presenti. I benefici concreti del welfare aziendale sono difatti molteplici: dal supporto alle spese familiari e ai trasporti pubblici, fino alla previdenza complementare e all’assistenza sanitaria integrativa.

Insieme agli aspetti normativi, il digitale rappresenta oggi il vero acceleratore: soluzioni e piattaforme innovative permettono di semplificare la gestione, aumentare efficienza ed efficacia e offrire ai lavoratori un accesso chiaro e immediato ai propri benefit.
L’integrazione con altri processi HR permette di rendere il welfare più performante e strategico, con processi digitali intelligenti e integrati.
Il welfare, grazie alla tecnologia, diventa davvero “smart”: processi più snelli e più valore per le persone e le organizzazioni.
Negli ultimi anni, la crescente mobilità internazionale dei lavoratori e la diffusione dei piani di incentivazione a lungo termine hanno reso sempre più attuale la questione del corretto trattamento impositivo dei compensi maturati in un Paese estero e percepiti successivamente in Italia. Si tratta di fattispecie che sollevano questioni di non poco rilievo, poiché collocate al crocevia tra le disposizioni del diritto interno, le norme pattizie contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni e gli orientamenti interpretativi, spesso mutevoli, dell’Amministrazione finanziaria. In questo intreccio, la qualificazione del reddito e la ripartizione della potestà impositiva tra i diversi Stati assumono un ruolo centrale per la corretta applicazione delle regole fiscali e per la prevenzione dei fenomeni di doppia imposizione.
La Risposta n. 199 del 4 agosto 2025 dell’Agenzia delle Entrate si inserisce in questo contesto, rappresentando quello che sembrerebbe un “dietrofront” rispetto all’orientamento espresso appena pochi mesi prima dalla medesima Amministrazione con la Risposta n. 81 del 25 marzo.
Nello specifico, l’istanza oggetto della più recente Risposta è stata presentata da una società di diritto tedesco, parte di un gruppo multinazionale, operante in Italia tramite stabile organizzazione. La questione sottoposta all’Agenzia riguardava il trattamento impositivo applicabile ad un bonus riconosciuto a un dipendente nell’ambito di un piano di incentivazione a lungo termine (“long term cash bonus plan”), strutturato su periodi di maturazione triennale (“vesting period”).

Nel dettaglio, il lavoratore aveva prestato la propria attività lavorativa nel Regno Unito fino a dicembre 2023, trasferendosi poi in Italia per intraprendere un nuovo rapporto di lavoro dipendente presso la stabile organizzazione dell’istante e acquisendo la residenza fiscale nel territorio dello Stato a decorrere dal 2024. I bonus percepiti dal lavoratore in Italia, che in luce del regolamento dell’istante venivano erogati su base triennale, risultavano riferibili a periodi di maturazione che si collocavano interamente oppure parzialmente nel Regno Unito.
Muovendo da tale premessa, la società istante ha chiesto chiarimenti in merito alla corretta ripartizione della potestà impositiva tra i due Stati rispetto ai bonus percepiti dal soggetto divenuto fiscalmente residente, nonché sulle modalità di tassazione delle medesime somme in Italia, tenuto conto delle imposte già assolte all’estero.
Come già accennato, l’Agenzia delle Entrate era intervenuta su un tema simile nella precedente Risposta n. 81/2025. In quell’occasione, infatti, era stato sostenuto che la tassazione dei bonus dovesse seguire il criterio della maturazione, con conseguente ripartizione della potestà impositiva tra i diversi Stati in base alla residenza fiscale e al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa nei singoli anni. Tuttavia, con la Risposta n. 199/2025 l’Agenzia sembra aver rivisto tale posizione, riaffermando il principio secondo cui, per i redditi di lavoro dipendente – inclusi i compensi variabili – rilevano esclusivamente l’anno di percezione e la residenza fiscale del lavoratore in tale anno. In altri termini, se il lavoratore è residente in Italia al momento della percezione, l’intero importo risulterà imponibile in Italia, a prescindere dal luogo e dal periodo di maturazione delle somme.
Il fondamento di questo mutato orientamento, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, si rinviene tanto nell’ordinamento interno quanto nelle disposizioni convenzionali. Con riguardo alla normativa nazionale, l’articolo 3 del TUIR stabilisce anzitutto che i soggetti fiscalmente residenti sono assoggettati a imposizione in Italia per i redditi ovunque prodotti. L’articolo 51 del TUIR, a sua volta, qualifica come reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro, a qualunque titolo, nel periodo d’imposta (principio di onnicomprensività), precisando che tali redditi si tassano con riferimento all’anno della loro effettiva percezione (principio di cassa). Sotto il profilo internazionale, l’Agenzia richiama l’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, che attribuisce in via generale allo Stato di residenza la potestà impositiva sui redditi di lavoro dipendente, pur riconoscendo allo Stato della fonte la possibilità di tassare la quota di remunerazione riferibile all’attività ivi svolta.
Applicando tali principi al caso concreto, l’Agenzia delle Entrate è giunta alla conclusione che la stabile organizzazione italiana sia tenuta ad operare la ritenuta fiscale a titolo d’acconto non solo sui bonus erogati direttamente, ma anche su quelli corrisposti da altre società estere del gruppo, qualora siano percepiti in anni in cui il lavoratore risulti fiscalmente residente in Italia. Da ciò sembra conseguire che l’obbligo di sostituzione si estenda a tutte le somme riconducibili al rapporto di lavoro, indipendentemente dal soggetto erogatore e dal luogo di maturazione.
Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Sintesi, rivista dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
Il sodalizio quasi ventennale tra HR Capital e TÜV Italia conferma l’impegno continuo verso l’eccellenza nella qualità dei servizi.
Un traguardo importante per HR Capital, società specializzata in consulenza del lavoro, payroll & HRO di alta gamma, che da diciotto anni mantiene senza interruzioni la certificazione ISO 9001 rilasciata da TÜV Italia, ente del gruppo internazionale TÜV SÜD, leader mondiale nei servizi di certificazione, ispezione, testing e formazione.
La certificazione ISO 9001 rappresenta uno standard riconosciuto a livello globale per la gestione della qualità e testimonia la capacità dell’organizzazione di fornire servizi coerenti, affidabili e in linea con le aspettative del cliente, nel rispetto dei requisiti normativi applicabili.

“Raggiungere il traguardo dei 18 anni consecutivi di certificazione ISO 9001 rappresenta per noi un risultato di grande valore, che riflette il nostro impegno costante verso la qualità e l’eccellenza nei servizi che offriamo – ha dichiarato Leonardo Zaffiri, Chief Executive Officer di HR Capital – Non si tratta soltanto di un riconoscimento formale, ma della conferma di un percorso strutturato, fatto di competenze e attenzione continua alle esigenze dei nostri clienti. Questo traguardo testimonia la solidità del nostro sistema di gestione, ma soprattutto la volontà di continuare a crescere, innovare e migliorare, investendo in processi e persone per garantire soluzioni sempre più efficaci e coerenti con un mercato in rapida trasformazione.”
TÜV Italia ha accompagnato HR Capital lungo questo percorso di crescita continua, confermando anno dopo anno la conformità ai requisiti della norma ISO 9001 attraverso audit puntuali e rigorosi, contribuendo allo sviluppo di una cultura della qualità radicata in tutti i processi aziendali.
“Celebrare 18 anni di certificazione ininterrotta è un risultato che premia la visione a lungo termine e l’impegno concreto di HR Capital per il miglioramento continuo – ha commentato Ottorino Pomilio, Lead Auditor di TUV Italia –. Siamo lieti di essere al fianco di un’azienda che considera la qualità non solo un requisito formale, ma un vero e proprio driver strategico.“
Rassegna stampa:
1. CCNL Agenzie di somministrazione di lavoro – Formazione e addestramento professionale
Entreranno in vigore a partire dal 1° ottobre 2025 le disposizioni previste dal CCNL che comportano l’adeguamento dei sistemi informatici delle Agenzie per il Lavoro e la revisione della modulistica attualmente in uso.
2. CCNL Centri elaborazione dati – Assistenza Sanitaria Integrativa
A decorrere dal 1° ottobre 2025 il contributo annuale per i lavoratori a tempo indeterminato, gli apprendisti e i lavoratori assunti con contratto a termine superiore a dodici mesi sarà pari a 234 euro totali di cui, mensili, 17,00 euro a carico del datore di lavoro e 2,50 a carico di ciascun lavoratore iscritto al Fondo Easi.
3. CCNL Cemento, Calce (INDUSTRIA) – Contributi contrattuali
Nel mese di ottobre 2025 i datori di lavoro effettueranno la trattenuta di 30 euro a titolo di quota associativa straordinaria, quale contributo per il rinnovo del contratto collettivo, ai lavoratori non iscritti al sindacato che entro il 10 settembre non hanno manifestato per iscritto la volontà di non accettazione di tale trattenuta.
4. CCNL Edili (ARTIGIANATO) – Cassa edile
A partire dal 1° ottobre 2025, presso ogni Cassa Edile ed Edilcassa sarà istituito il Fondo Artigianato Qualificazione e Sviluppo (FAQS). Il Fondo sarà finanziato tramite un contributo mensile a carico delle imprese, pari a 2,00 euro per ciascun dipendente in forza a decorrere dalla stessa data. Le risorse raccolte consentiranno alle imprese di beneficiare, attraverso compensazioni con i versamenti alla Cassa Edile o Edilcassa, delle premialità previste dal presente CCNL e dagli Accordi territoriali.
5. CCNL Edili (ARTIGIANATO) – Fondo di previdenza
La nuova disciplina sul contributo contrattuale al Fondo Prevedi, prevista dall’accordo del 4 luglio 2025, trova applicazione per i lavoratori assunti a decorrere dal 1° ottobre 2025, in considerazione dei tempi necessari all’adeguamento dei sistemi informatici delle Casse Edili/Edilcasse.
6. CCNL Edili (ARTIGIANATO) – Trasferte e D.U.E.
Entra in vigore dal 1° ottobre 2025 la disciplina della trasferta nazionale. La nuova disciplina troverà applicazione in tutto il territorio nazionale e sostituirà tutti gli Accordi territoriali in materia di trasferta regionale. A decorrere dalla medesima data entra in vigore il nuovo sistema di “Denuncia Unica Edilizia”.
7. CCNL Edili (COOPERATIVE) – Trasferte e D.U.E.
Entra in vigore dal 1° ottobre 2025 la disciplina della trasferta nazionale. La nuova disciplina troverà applicazione in tutto il territorio nazionale e sostituirà tutti gli Accordi territoriali in materia di trasferta regionale. A decorrere dalla medesima data entra in vigore il nuovo sistema di “Denuncia Unica Edilizia”.
8. CCNL Edili (INDUSTRIA) – Trasferte e D.U.E.
Entra in vigore dal 1° ottobre 2025 la disciplina della trasferta nazionale. La nuova disciplina troverà applicazione in tutto il territorio nazionale e sostituirà tutti gli Accordi territoriali in materia di trasferta regionale. A decorrere dalla medesima data entra in vigore il nuovo sistema di “Denuncia Unica Edilizia”.
9. CCNL Edili (INDUSTRIA) – Fondo di previdenza
La nuova disciplina sul contributo contrattuale al Fondo Prevedi, prevista dall’accordo del 4 luglio 2025, trova applicazione per i lavoratori assunti a decorrere dal 1° ottobre 2025, in considerazione dei tempi necessari all’adeguamento dei sistemi informatici delle Casse Edili/Edilcasse.
10. CCNL Gas e Acqua – Minimi retributivi, Riposi
A decorrere dal 1° ottobre 2025, il lavoratore che effettua prestazioni straordinarie notturne tra le ore 00:00 e le 06:00 ha diritto, a titolo di permesso retribuito per riposo fisiologico, a posticipare l’inizio dell’orario di lavoro ordinario della giornata per un numero di ore pari alla durata dello straordinario svolto.
11. CCNL Noleggio autobus con conducente – Elemento di garanzia retributiva
Con le competenze del mese di ottobre viene erogato, in un’unica soluzione, l’Elemento di Garanzia Retributiva ai lavoratori subordinati in forza al 1° gennaio di ogni anno, con contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, inclusi i lavoratori stagionali, e alle altre tipologie di lavoro subordinato. Il riconoscimento spetta esclusivamente nelle aziende prive di contrattazione di secondo livello relativa al premio di risultato o ad altri istituti retributivi comunque soggetti a contribuzione, e nei confronti dei lavoratori che, nel corso dell’anno precedente (dal 1° gennaio al 31 dicembre), non abbiano percepito altri trattamenti economici aggiuntivi, anche forfettari, individuali o collettivi, oltre a quanto previsto dal CCNL. L’importo annuo è pari a 150 euro lordi, salvo riduzione fino a concorrenza in caso di presenza di trattamenti economici aggiuntivi. Il pagamento avviene pro-quota, in base ai dodicesimi di servizio prestati dal lavoratore nell’anno precedente, anche se non consecutivi.
Aumento dei minimi retributivi dal 1° ottobre 2025
A decorrere dal 1° ottobre 2025 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Una tantum di ottobre 2025
Per il mese di ottobre 2025 è prevista l’erogazione delle “Una tantum” dei seguenti CCNL:
Con la risposta n. 228 del 1° settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito un chiarimento in merito alla possibilità di applicare il regime speciale per lavoratori impatriati, di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, alle somme percepite a titolo di NASpI. Il caso sottoposto all’attenzione delle Entrate riguardava un contribuente che, dopo sei anni di permanenza all’estero, aveva trasferito la propria residenza in Italia nell’aprile 2022, rientrando dall’Irlanda. Dal momento del rientro fino a settembre 2023 aveva svolto attività di lavoro dipendente beneficiando del regime agevolativo previsto per i lavoratori impatriati. Successivamente, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, aveva percepito la NASpI da ottobre 2023 ad agosto 2024, per poi trasferirsi nuovamente all’estero. A tal fine, l’istante chiedeva se tale indennità di disoccupazione potesse essere considerata reddito agevolabile in quanto derivante da un precedente rapporto di lavoro e se, conseguentemente, potesse fruire della riduzione prevista dal regime impatriati.
Come noto, il D.Lgs. 209/2023 ha introdotto, a decorrere dal periodo d’imposta 2024, un nuovo regime agevolativo per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia. Tuttavia, per i soggetti che hanno trasferito la residenza entro il 31 dicembre 2023– come nel caso oggetto della risposta dell’Agenzia delle Entrate – continua a trovare applicazione il previgente regime di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. Tale regime prevede che, in presenza di determinati requisiti soggettivi e oggettivi, i redditi di lavoro dipendente, assimilati a quelli di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e d’impresa prodotti in Italia concorrano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare, a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento e per i quattro periodi d’imposta successivi.
Inoltre, nella risposta in oggetto, l’Agenzia richiama la propria precedente prassi (circolari n. 17/E del 2017 e n. 33/E del 2020), evidenziando che la misura è finalizzata ad agevolare le persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia per svolgervi un’attività lavorativa, prevedendo per tali soggetti una tassazione più favorevole sui redditi prodotti. In tal senso, possono rientrare nell’agevolazione anche le somme percepite in sostituzione di redditi agevolabili, purché strettamente connesse a un’attività lavorativa effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.

Nella risposta in esame, l’Agenzia delle Entrate ricorda che la NASpI, disciplinata dal D.Lgs. 22/2015, è una prestazione economica di sostegno al reddito, erogata dall’INPS a favore dei lavoratori subordinati che abbiano perso involontariamente la propria occupazione. A tal riguardo, pur essendo qualificata fiscalmente come reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 6 del TUIR, essa non è corrisposta a fronte dello svolgimento di un’attività lavorativa, bensì in conseguenza della cessazione del rapporto. Inoltre, viene ribadito che la funzione della NASpI è quella di garantire un sostegno temporaneo al reddito, in attesa di una nuova occupazione, e non quella di remunerare una prestazione lavorativa. Infine, secondo l’interpretazione fornita nella risposta, la ratio del regime impatriati è quella di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori che qui svolgano un’attività produttiva, e non di estendere l’agevolazione a prestazioni percepite in assenza di attività lavorativa.
Alla luce di tali considerazioni, l’Agenzia ha concluso che le somme percepite a titolo di NASpI nel 2024 non rientrano tra i redditi agevolabili ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. In tal senso, l’indennità di disoccupazione, pur essendo fiscalmente assimilata a reddito di lavoro dipendente, non soddisfa il requisito sostanziale richiesto dalla norma, ossia la produzione di reddito derivante da attività lavorativa svolta in Italia. Pertanto, tali somme devono essere assoggettate a tassazione ordinaria, senza applicazione della riduzione prevista dal regime speciale. In conclusione, il chiarimento fornito dall’Agenzia conferma un principio di rilievo: il regime impatriati si applica esclusivamente ai redditi che trovano origine nello svolgimento di un’attività lavorativa in Italia, restando in ogni caso escluse le prestazioni di sostegno al reddito erogate in assenza di attività lavorativa.
Con la sentenza n. 22802 del 2025 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno introdotto un rilevante mutamento interpretativo in materia di rendita vitalizia ex art. 13, L. 12 agosto 1962, n. 1338, superando la prassi amministrativa consolidata dell’INPS, da ultimo espressa nella Circolare n. 48/2025.
La rendita vitalizia è lo strumento mediante il quale si consente la valorizzazione, ai fini pensionistici, di periodi di lavoro non coperti da contribuzione obbligatoria, in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro non più regolarizzabili per intervenuta prescrizione (art. 55 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827).
L’art. 13 della L. 1338/1962 prevede, in primo luogo, la possibilità per il datore di lavoro, che abbia omesso il versamento dei contributi obbligatori e che non possa più regolarizzare la posizione per intervenuta prescrizione, di costituire presso l’INPS una rendita vitalizia corrispondente alla pensione o alla quota di pensione spettante al lavoratore, previa esibizione di idonea documentazione attestante l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro nonché l’ammontare delle retribuzioni corrisposte (commi 1 e 4). Parallelamente, la norma attribuisce al lavoratore la facoltà di sostituirsi al datore in caso di inerzia di quest’ultimo, potendo egli stesso chiedere la costituzione della rendita e, in via residuale, anche provvedervi interamente a proprio carico, secondo quanto disposto dai commi 5 e 7.
Il legislatore del 2024, con l’art. 30 L. 203/2024, ha introdotto il comma 7, che riconosce al lavoratore una facoltà imprescrittibile di costituzione della rendita, pur senza diritto di rivalsa.

Secondo l’orientamento dell’INPS, consolidato fino al 2025, il termine di prescrizione per la costituzione della rendita era unico sia per il datore di lavoro sia per il lavoratore, decorrente dal momento della prescrizione contributiva ex art. 3, comma 9, L. 335/1995 (cinque anni dal mancato versamento).
Questa impostazione, tuttavia, riduceva notevolmente le possibilità di azione del lavoratore, il quale spesso non aveva tempestiva conoscenza delle omissioni contributive, venendo di fatto pregiudicato da una decorrenza automatica ed eterodeterminata.
Con la pronuncia n. 22802/2025, le Sezioni Unite hanno distinto la posizione del datore di lavoro da quella del lavoratore, affermando il seguente principio di diritto:
In tal modo, il termine di prescrizione a favore del lavoratore non coincide più con quello del datore, potendo collocarsi in un momento successivo e ampliando sensibilmente la tutela previdenziale.
La Corte ha altresì ribadito la possibilità per il lavoratore di agire in sede civile per il risarcimento del danno pensionistico ai sensi dell’art. 2116, comma 2, c.c., con prescrizione decennale decorrente dal momento in cui il danno si manifesta, ordinariamente con il provvedimento di diniego o la liquidazione ridotta della prestazione.
La sentenza della Corte di Cassazione si discosta in maniera significativa dalla prassi amministrativa dell’INPS, riaffermando la necessità di un’interpretazione che tenga conto della peculiare posizione di debolezza informativa del lavoratore rispetto al datore di lavoro.
In definitiva, la Corte di Cassazione restituisce centralità al principio di effettività della tutela previdenziale, superando un’interpretazione formalistica e garantendo che il lavoratore non sia irragionevolmente penalizzato da omissioni contributive non conoscibili nei termini rigidi della prescrizione amministrativa.
Il 24 luglio 2025 Confindustria e Federmanager hanno sottoscritto un accordo che dà attuazione a quanto previsto dal CCNL per i dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi (c.d. “CCNL Dirigenti Industria”), rinnovato il 13 novembre 2024, affidando alla “Fondazione Fondirigenti Giuseppe Taliercio” lo sviluppo, l’erogazione e il monitoraggio delle c.d. politiche attive.
Tali programmi – finalizzati a prevenire e contrastare le situazioni di difficoltà lavorativa – sono rivolti sia ai dirigenti in servizio sia a quelli privi di occupazione da non oltre sei mesi, estesi in via transitoria fino a dodici mesi nella fase di prima applicazione, con l’obiettivo di rafforzarne l’occupabilità attraverso percorsi volontari di valorizzazione delle competenze, orientamento, formazione mirata e, per i non occupati, servizi di supporto al reinserimento lavorativo.

A tal fine, le Parti hanno stabilito che, a decorrere dal 2025, le imprese versino alla Fondazione un contributo annuo di 100 euro per ciascun dirigente in servizio, con le stesse modalità previste per il finanziamento della Gestione Separata FASI.
Inoltre, il verbale di accordo autorizza la Fondazione a procedere alla riscossione di tale quota entro il 30 novembre 2025, così da disporre delle risorse necessarie per avviare, nel corso del 2026, i servizi previsti. Ai fini della riscossione, la Fondazione invierà alle imprese interessate una comunicazione illustrativa dei servizi che intende erogare.
Infine, per garantire continuità nell’erogazione delle politiche attive, le Parti hanno concordato che, fino al 31 dicembre 2025, tali servizi continueranno ad essere forniti dall’attuale gestore “4.Manager”, con le modalità finora adottate.
Nel 2025 è cambiata la fiscalità delle automobili aziendali in uso promiscuo: superato il calcolo basato sulle emissioni, si passa a percentuali fisse legate all’alimentazione del veicolo. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 10/E di luglio, chiarisce l’applicazione delle nuove regole. Ecco cosa c’è da sapere.
La circolare 10/E di luglio 2025 dell’Agenzia delle Entrate ha provveduto a fare chiarezza sugli aspetti della legge di bilancio 2025 legati alle automobili aziendali in uso promiscuo, cioè quelle utilizzate dai dipendenti per uso sia lavorativo sia personale. La novità principale è il superamento del calcolo della deducibilità basato sulle emissioni di CO2, a favore di un nuovo conteggio legato al tipo di alimentazione del veicolo. La nuova disciplina si applica ai veicoli immatricolati e consegnati a partire da gennaio 2025, con contratti stipulati a decorrere da quello stesso periodo. La circolare dell’AdE specifica inoltre cosa accade per tutti quei veicoli con contratti stipulati entro il 31 dicembre 2024, ma assegnati solo a partire da luglio 2025. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
La riforma punta a incentivare la transizione ecologica: se fino al 2024 il calcolo del fringe benefit (cioè il valore del beneficio che concorre a formare il reddito del dipendente) era legato alla quantità di CO2 emessa dal veicolo, ora il parametro viene determinato su basi forfettarie, a seconda del tipo di alimentazione.
Per tutti i veicoli si applica una percentuale fissa al costo chilometrico annuo, basato su una percorrenza convenzionale di 15.000 km secondo le tabelle ACI: per i veicoli a motore endotermico (diesel, benzina, GPL, metano, ma anche ibridi non plug-in) il coefficiente da applicare ai costi chilometrici per il calcolo del benefit auto passa dal 30 al 50%, traducibile, secondo Assolombardia, con un incremento della tassazione di circa il 67%. Percentuali sensibilmente più basse (rispettivamente 10 e 20%) sono invece previste per le automobili elettriche o hybrid plug-in.
Il sistema semplifica il calcolo rispetto al passato, ma, dal momento che non tiene più conto delle emissioni, mette sullo stesso piano anche veicoli a motore termico più vecchi e più inquinanti e altri più nuovi e più ecologici.
Roberta De Felice, Consulente del Lavoro e collaboratrice presso HR Capital, Società di payroll e consulenza del lavoro sottolinea che «la corretta individuazione del criterio di valorizzazione del fringe benefit auto è fondamentale, in quanto incide sia sulla determinazione del reddito da lavoro dipendente sia sulla possibilità di rientrare nelle soglie di esenzione dei cosiddetti fringe benefit», che la legge di bilancio 2025 ha infatti innalzato per il triennio 2025‑2027 a 2.000 euro annui per i dipendenti con figli a carico e a 1000 per tutti gli altri.
Continua a leggere la versione integrale pubblicata su HR Link.
I piani che prevedono l’assegnazione di azioni ai dipendenti sono ad oggi uno strumento utilizzato frequentemente dalle aziende, in particolare dalle società quotate e dai grandi gruppi multinazionali.
La loro crescente diffusione è senz’altro dovuta ai significativi benefici che essi generano, nonostante le oggettive complessità sul piano applicativo: questi piani, difatti, sono in grado di incentivare e di fidelizzare la popolazione aziendale attraverso una forma di coinvolgimento diretto all’andamento dell’impresa, in modo a volte più efficace rispetto ad altri strumenti tradizionali.
Ulteriore elemento che ha indubbiamente contribuito alla diffusione di tali piani è il regime agevolativo di cui possono beneficiare dal punto di vista fiscale, ed è proprio su questo aspetto che l’Agenzia delle Entrate si è recentemente espressa con la Risposta ad interpello n. 147/2025. In questo caso, l’Amministrazione finanziaria è intervenuta a seguito di un quesito posto da una società a capo di un gruppo multinazionale, in relazione ad un piano riguardante l’assegnazione di azioni ai dipendenti – nello specifico, un piano c.d. di azionariato “diffuso” o “popolare” – per chiarire quali siano le condizioni necessarie per l’applicazione del regime impositivo agevolato previsto dall’articolo 51, comma 2, lett. g) del TUIR.
Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Sintesi, rivista dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
1. CCNL Agenzie di Somministrazione di Lavoro – Welfare
A partire dal 1° settembre 2025, per i contratti di lavoro con durata iniziale o prorogata pari o superiore a sei mesi, il mancato rispetto del termine minimo di preavviso di tre giorni per la comunicazione della proroga comporterà, in favore del lavoratore, l’erogazione di un importo forfettario a titolo di welfare pari a 20 euro per ciascun giorno di preavviso non rispettato. Tale misura ha lo scopo di compensare integralmente il potenziale pregiudizio subito dal lavoratore a causa della comunicazione tardiva della proroga contrattuale.
2. CCNL Agricoltura (CONTOTERZISMO) – Premio annuale
Un premio annuale differenziato in base agli anni di servizio presso la stessa azienda verrà corrisposto nel mese di settembre. Nei territori con premi già previsti, sarà erogata solo l’eventuale differenza.
3. CCNL Casse Rurali ed Artigiane – Premio annuale
Il Valore di Produttività Aziendale verrà corrisposto, in un’unica soluzione, entro il mese di settembre. Spetta al personale in servizio nel mese di erogazione che abbia lavorato nell’anno di riferimento, anche in caso di part-time o assenze parziali. L’importo è proporzionato ai mesi di servizio e alle condizioni previste dal contratto.
4. Centri elaborazione dati – Flexible benefits
I flexible benefits aziendali, del valore di 150 euro annui, verranno erogati entro il mese di settembre. Spettano ai lavoratori in forza al 1° gennaio o assunti entro il 31 agosto, con contratto a tempo indeterminato o determinato (minimo 3 mesi di servizio). L’importo non è riproporzionabile per i part-time ed è escluso dal calcolo del TFR.
5. Cooperative Sociali – Elemento temporaneo aggiuntivo della retribuzione
Agli educatori inquadrati al livello D1 spetta un elemento temporaneo aggiuntivo della retribuzione pari a 41 euro mensili che sarà incrementato di ulteriori 41 euro a partire dal 1° settembre 2025 e cesserà con il passaggio al livello D2 dal 1° gennaio 2026. L’elemento, indicato in busta paga come “ETDR Educatore”, incide su tutti gli istituti contrattuali ma non è conservabile in caso di cambio livello o mansione.

6. Dirigenti Aziende Alberghiere – Superminimo collettivo
Ai dirigenti spetta un aumento retributivo di 200 euro, da corrispondere nel mese di settembre 2025. L’importo è riconosciuto a titolo di superminimo contrattuale e può essere assorbito da incrementi già concessi dopo il 31 dicembre 2019. L’assorbimento è valido solo se espressamente previsto al momento dell’erogazione.
7. Metalmeccanici (PICCOLA INDUSTRIA) – CONFIMI – Welfare
A partire dal 1° settembre, le aziende mettono a disposizione dei lavoratori un pacchetto di welfare del valore di 200 euro. I benefit potranno essere utilizzati entro il 31 agosto dell’anno successivo, secondo le modalità definite a livello aziendale.
8. Panificatori – CONFCOMMERCIO – Fondo di previdenza
Dal 1° settembre 2025 le aziende dovranno contribuire al finanziamento degli RLST con un importo di 21 euro annui. Il contributo, pari a 1,75 euro mensili, sarà dovuto solo dopo l’approvazione del Regolamento definito tra le Parti. Sono escluse le aziende già soggette a contributi territoriali, mentre quelle di nuova costituzione verseranno una quota proporzionata ai mesi di copertura.
9. Panificatori – CONFESERCENTI – Fondo di previdenza
Dal 1° settembre 2025 i datori di lavoro avranno l’obbligo di contribuzione al fondo per il finanziamento degli RLST con un contributo annuo pari a 21 euro. L’obbligo è subordinato all’approvazione di un apposito Regolamento e non riguarda le aziende già vincolate da accordi territoriali. Le imprese neocostituite o con primo personale assunto verseranno una quota proporzionata ai mesi di copertura.
10. Poste Italiane – Contributi sindacali
Dal mese di settembre 2025, la trattenuta minima per i contributi sindacali è fissata all’1%, calcolata su minimo tabellare e indennità di contingenza su 13 mensilità.
11. Poste Italiane – Mensa
Dal mese di settembre 2025, il valore del ticket riconosciuto ai dipendenti con orario superiore alle 7 ore giornaliere e pausa tra le 12:00 e le 15:00 sarà elevato a 6,30 euro. Lo stesso importo si applica anche ai lavoratori in turnazione nelle 24 ore e a quelli con intervallo ridotto, secondo quanto previsto dagli accordi sindacali. Per le prestazioni non rientranti in queste casistiche, il ticket sarà pari a 4,80 euro.
12. SCUOLE MATERNE – FISM – Assistenza sanitaria integrativa
Dal 1° settembre 2025, tutti i dipendenti con contratto superiore a 3 mesi saranno iscritti obbligatoriamente a un Fondo di assistenza sanitaria integrativa. Il contributo, pari a 7 euro mensili per lavoratore, sarà interamente a carico del datore di lavoro. Il Fondo sarà individuato entro 30 giorni tramite accordo tra FISM e le organizzazioni sindacali firmatarie.
13. SCUOLE MATERNE – FISM – Salario di anzianità
Dal 1° settembre 2025, al personale con almeno due anni di servizio continuativo presso lo stesso Ente sarà riconosciuto un importo a titolo di salario di anzianità mensile, per tredici mensilità. L’importo è pari a 15 euro per i livelli dal primo al quarto e a 20 euro per i livelli dal quinto all’ottavo. Tale somma si aggiunge a quanto già maturato in base ai precedenti rinnovi contrattuali.
14. CEMENTO, CALCE (INDUSTRIA) – Contributi contrattuali
Entro il 10 settembre 2025, i lavoratori non iscritti a Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil possono comunicare per iscritto all’azienda la volontà di non aderire al contributo straordinario di 30 euro. Tale contributo, richiesto in occasione del rinnovo del CCNL, è una quota associativa una tantum destinata a sostenere l’attività sindacale. In assenza di opposizione, la trattenuta sarà effettuata sulla retribuzione di ottobre.
Aumento dei minimi retributivi dal 1° settembre 2025
A decorrere dal 1° settembre 2025 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Una tantum di settembre 2025
Per il mese di settembre 2025 è prevista l’erogazione delle “Una tantum” dei seguenti CCNL:
Con la sentenza n. 103 dell’8 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Brescia in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, riguardante l’articolo 2, comma 1-bis, del Decreto-Legge n. 463/1983, come modificato dall’articolo 23, comma 1, del Decreto-Legge n. 48/2023 (cosiddetto “Decreto Lavoro”). La norma sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale prevede che, in caso di omissione del versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti — per importi non superiori a 10.000 euro annui — il datore di lavoro sia punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nell’agosto 2024 dal Tribunale di Brescia, chiamato a pronunciarsi — in qualità di giudice del lavoro — su un caso di omissioni contributive relative al periodo 2013 – 2015, per un importo pari a 7.153 euro. Inizialmente, il datore di lavoro si era visto irrogare dall’INPS una sanzione amministrativa di 73.000 euro. Successivamente, in seguito all’entrata in vigore del Decreto-Legge n. 48/2023, la Consulta aveva disposto la restituzione degli atti, e l’INPS ha proceduto al ricalcolo della sanzione, rideterminandola in 13.714 euro. L’articolo 23 del Decreto prevede infatti una sanzione: “da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso”, determinata in funzione delle ritenute non versate, con l’obiettivo di assicurare un’applicazione proporzionale e sostenibile per i soggetti inadempienti.

Tuttavia, nonostante l’intervento normativo, il giudice rimettente ha ritenuto ancora sussistenti i dubbi di legittimità costituzionale, sottolineando nuovamente il carattere sproporzionato del minimo edittale previsto dalla nuova disciplina rispetto all’effettiva gravità dell’inadempimento. È stato altresì evidenziato il rischio di effetti irragionevoli, tra cui l’applicazione di un regime sanzionatorio potenzialmente più severo nei confronti di chi ometta versamenti inferiori alla soglia di 10.000 euro, rispetto alla sanzione penale prevista – nel caso di conversione della sanzione detentiva in pena pecuniaria – per il datore di lavoro responsabile di omissioni superiori a tale soglia. Inoltre, secondo quanto sostenuto dai giudici di Brescia, la disciplina non riuscirebbe a graduare la sanzione in risposta ad eventuali inadempimenti causati da circostanze esterne, non tenendo in considerazione le condizioni soggettive del trasgressore e violando, quindi, il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 103/2025, ha confermato la legittimità della norma. Infatti, dichiarando la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, la Corte ha innanzitutto ricordato che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella determinazione delle pene applicabili in caso di reati e di conseguenza anche in caso di sanzioni amministrative. Inoltre, sempre secondo la Corte, la misura della sanzione non è irragionevole né arbitraria, in quanto la condotta a cui l’ordinamento reagisce si realizza mediante l’appropriazione di somme che sarebbero di pertinenza del lavoratore e che sono destinate al sistema previdenziale, quindi, al pagamento di prestazioni essenziali. Pertanto, la misura della sanzione è ritenuta dalla Corte proporzionata alla gravità della condotta e al grado di protezione accordato ai lavoratori, in quanto parte debole del rapporto di lavoro.
Inoltre, la Corte Costituzionale, nel valutare la comparazione tra responsabilità penale e responsabilità amministrativa, evidenzia come tale raffronto debba essere considerato una mera operazione aritmetica, priva di un reale significato giuridico se condotta in maniera isolata. Infatti, a parere della Corte, l’operazione di comparazione — che evidenzia come, in caso di superamento della soglia dei 10.000 euro, si possa comminare per il reato una pena pecuniaria aritmeticamente inferiore rispetto alla sanzione amministrativa prevista sotto tale soglia — non terrebbe in considerazione il carattere maggiormente afflittivo del trattamento penale. Quest’ultimo comporta infatti conseguenze indirette ben più onerose, come la determinazione delle pene accessorie o l’obbligo risarcitorio connesso, che incidono in maniera significativa sull’effettiva severità della sanzione.
Alla luce di tali considerazioni, la Consulta ha escluso profili di illegittimità costituzionale nella disciplina sanzionatoria relativa alle omissioni contributive, riconoscendo l’adeguatezza della sanzione prevista nel contrasto a condotte lesive della regolarità degli obblighi previdenziali.
Con la sentenza n. 115 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice madre intenzionale in una coppia omogenitoriale femminile, risultante genitore nei registri dello stato civile.
La questione è stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia, sezione lavoro, nel contesto di un procedimento promosso da Rete Lenford, ai sensi degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 215/2003 e dell’art. 28 del D.lgs. 150/2011, per accertare una discriminazione ai danni di coppie dello stesso sesso.
La lavoratrice, madre intenzionale, si era vista negare dall’INPS il congedo obbligatorio previsto per il padre lavoratore, in quanto “non padre”, pur figurando nel certificato di nascita come secondo genitore. Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso, ordinando all’INPS di modificare il sistema informatico per consentire l’inserimento dei codici fiscali dei genitori a prescindere dal genere, con condanna al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo.
Tuttavia, la lavoratrice ha lamentato che la sentenza non affermava chiaramente il diritto delle coppie omogenitoriali a fruire dei congedi al pari delle coppie eterosessuali. Da qui la rimessione alla Corte Costituzionale.

L’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, introdotto dal D.lgs. 105/2022, riconosce al padre lavoratore il diritto a 10 giorni di congedo obbligatorio retribuito al 100%, da fruire entro cinque mesi dalla nascita del figlio. Tuttavia, esclude implicitamente la madre intenzionale, anche se riconosciuta come genitore nei registri dello stato civile.
La Corte d’appello ha denunciato la violazione dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) e dell’art. 117, primo comma, in relazione:
La Corte ha richiamato una ricca giurisprudenza costituzionale che valorizza la funzione genitoriale come responsabilità condivisa, indipendente dal genere o dalla biologia (tra cui le sentenze nn. 285/2010, 105/2018, 68/2025).
Ha inoltre evidenziato come il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori sia tutelato:
La Corte Costituzionale ha chiarito che la genitorialità intenzionale è pienamente giuridicamente rilevante, e che l’orientamento sessuale non incide in alcun modo sull’idoneità all’assunzione della responsabilità genitoriale. Il vincolo genitoriale, infatti, non si fonda esclusivamente su elementi biologici, ma nasce dall’assunzione consapevole di responsabilità e dalla condivisione di un progetto di cura del minore. In questo contesto, è manifestamente irragionevole escludere la madre intenzionale dal diritto al congedo obbligatorio, quando essa svolge un ruolo del tutto equivalente a quello riconosciuto al padre in una coppia eterosessuale.
La Corte ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.
La decisione comporta l’obbligo per l’INPS e per i datori di lavoro di riconoscere e gestire le richieste di congedo anche da parte della seconda madre nelle coppie di donne. Sarà possibile farlo attraverso autocertificazione, a condizione che il legame genitoriale risulti dallo stato civile.
Oltre agli effetti immediati sul piano amministrativo, la sentenza rappresenta un passo importante verso un sistema di tutele più inclusivo, coerente con le evoluzioni del diritto europeo in materia di bilanciamento tra vita privata e lavorativa.
Il 15 luglio 2025, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha pubblicato la Nota n. 288, con cui ha chiarito le modalità di ottenimento dei crediti aggiuntivi previsti dal Decreto Ministeriale n. 132/2024, che ha introdotto il sistema della patente a crediti. La norma prevede che il punteggio iniziale di 30 crediti possa essere incrementato fino a 100, qualora venga dimostrato il possesso di alcuni requisiti specifici. Tra questi, rientrano: l’anzianità di iscrizione alla Camera di Commercio, a cui è attribuito un punteggio proporzionale in base agli anni di iscrizione; il possesso della certificazione di un SGSL conforme alla UNI EN ISO 45001; l’adozione di un Modello di organizzazione e gestione della salute e sicurezza (MOG-SSL), asseverato da un organismo paritetico; il possesso della certificazione SOA di classifica I o II; e un’attestazione con esito positivo rilasciata da un organismo paritetico a seguito di attività di consulenza e monitoraggio.

Inoltre, l’INL specifica le modalità di rettifica degli eventuali errori relativi ai requisiti aggiuntivi inseriti sul portale della patente a crediti. A tal fine, il legale rappresentante (o un suo delegato) può intervenire autonomamente per modificare l’informazione, a condizione che lo faccia prima dell’aggiornamento del punteggio, che avviene di norma ogni notte tra mezzanotte e le tre. Se la rettifica non viene effettuata entro i termini indicati, sarà necessario contattare un Ufficio territoriale dell’Ispettorato del Lavoro per richiedere la modifica.
Infine, viene chiarito che, qualora nel corso dell’attività ispettiva emerga che l’impresa non possegga uno o più requisiti aggiuntivi dichiarati, il personale ispettivo può procedere all’invalidazione degli stessi, previa conferma da parte del Dirigente dell’Ufficio di appartenenza.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 5944 dell’8 luglio 2025, è intervenuto in materia di provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri, sia prima che dopo il parto.
La nota, tra i vari punti di rilievo rispetto all’attività ispettiva e alle verifiche che questa comporta presso le aziende, ha sottolineato il ruolo centrale del Documento di Valutazione dei Rischi (“DVR”): difatti, qualora dal DVR emerga la presenza di rischi per la lavoratrice in gravidanza o nel periodo dopo il parto e non sia possibile assegnarle mansioni alternative equivalenti e compatibili, l’Ispettorato potrà disporre l’interdizione dal lavoro.

La nota ha altresì ribadito che l’istanza di interdizione anticipata dal lavoro può essere presentata sia dalla lavoratrice che dal datore di lavoro, utilizzando l’apposito modulo presente nel portale dell’INL; tuttavia, se la domanda è avanzata dal datore di lavoro, questi dovrà motivare l’impossibilità di ricollocare la lavoratrice in un’altra mansione compatibile, tenendo in considerazione anche l’efficienza dell’organizzazione aziendale.
La nota ha sottolineato, infine, che il provvedimento di interdizione deve essere adottato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro entro 7 giorni dal ricevimento della documentazione completa presentata dalla lavoratrice o dal datore di lavoro. Solo in caso di lacune documentali o di elementi poco chiari potrà rendersi necessario un accertamento ispettivo in loco.
È importante ricordare che l’eventuale interdizione produce effetti dalla data di adozione del provvedimento da parte dell’Ispettorato e non dalla presentazione dell’istanza. In caso di rigetto, viene inoltre chiarito che l’Ispettorato sarà tenuto a motivare la decisione e a garantire il contraddittorio con la parte interessata, come previsto dalla normativa vigente.
Nel mese di agosto 2025, in assenza di rinnovo contrattuale, ai Dirigenti e Direttori con qualifica di Quadro spetta un elemento provvisorio di retribuzione pari al 50% del tasso annuo programmato di inflazione, calcolato sui minimi retributivi contrattuali. Gli importi versati a titolo provvisorio sono da considerarsi acconti su quanto verrà erogato con l’applicazione del rinnovato CCNL a far data dalla sua decorrenza iniziale.

A decorrere dal 1° agosto 2025 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti CCNL:
Sono in scadenza nel mese di agosto 2025 i seguenti CCNL: