Osservatorio

Sentenza n. 115/2025: la Corte Costituzionale riconosce il congedo obbligatorio alla madre intenzionale

12 Agosto 2025

Con la sentenza n. 115 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice madre intenzionale in una coppia omogenitoriale femminile, risultante genitore nei registri dello stato civile.

La questione è stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia, sezione lavoro, nel contesto di un procedimento promosso da Rete Lenford, ai sensi degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 215/2003 e dell’art. 28 del D.lgs. 150/2011, per accertare una discriminazione ai danni di coppie dello stesso sesso.

La lavoratrice, madre intenzionale, si era vista negare dall’INPS il congedo obbligatorio previsto per il padre lavoratore, in quanto “non padre”, pur figurando nel certificato di nascita come secondo genitore. Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso, ordinando all’INPS di modificare il sistema informatico per consentire l’inserimento dei codici fiscali dei genitori a prescindere dal genere, con condanna al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo.

Tuttavia, la lavoratrice ha lamentato che la sentenza non affermava chiaramente il diritto delle coppie omogenitoriali a fruire dei congedi al pari delle coppie eterosessuali. Da qui la rimessione alla Corte Costituzionale.

Il quadro normativo contestato

L’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, introdotto dal D.lgs. 105/2022, riconosce al padre lavoratore il diritto a 10 giorni di congedo obbligatorio retribuito al 100%, da fruire entro cinque mesi dalla nascita del figlio. Tuttavia, esclude implicitamente la madre intenzionale, anche se riconosciuta come genitore nei registri dello stato civile.

Le questioni sollevate

La Corte d’appello ha denunciato la violazione dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) e dell’art. 117, primo comma, in relazione:

  • agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE (parità di trattamento in materia di occupazione),
  • all’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, che riconosce il diritto al congedo obbligatorio anche al “secondo genitore equivalente”.

Il dispositivo della Corte costituzionale

La Corte ha richiamato una ricca giurisprudenza costituzionale che valorizza la funzione genitoriale come responsabilità condivisa, indipendente dal genere o dalla biologia (tra cui le sentenze nn. 285/2010, 105/2018, 68/2025).

Ha inoltre evidenziato come il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori sia tutelato:

  • dalla Costituzione (artt. 30 e 31),
  • dal codice civile (artt. 315-bis e 337-ter),
  • da strumenti internazionali e UE (Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, Carta dei diritti fondamentali dell’UE).

La Corte Costituzionale ha chiarito che la genitorialità intenzionale è pienamente giuridicamente rilevante, e che l’orientamento sessuale non incide in alcun modo sull’idoneità all’assunzione della responsabilità genitoriale. Il vincolo genitoriale, infatti, non si fonda esclusivamente su elementi biologici, ma nasce dall’assunzione consapevole di responsabilità e dalla condivisione di un progetto di cura del minore. In questo contesto, è manifestamente irragionevole escludere la madre intenzionale dal diritto al congedo obbligatorio, quando essa svolge un ruolo del tutto equivalente a quello riconosciuto al padre in una coppia eterosessuale.

La Corte ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.lgs. 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.

Implicazioni operative a seguito della sentenza

La decisione comporta l’obbligo per l’INPS e per i datori di lavoro di riconoscere e gestire le richieste di congedo anche da parte della seconda madre nelle coppie di donne. Sarà possibile farlo attraverso autocertificazione, a condizione che il legame genitoriale risulti dallo stato civile.

Oltre agli effetti immediati sul piano amministrativo, la sentenza rappresenta un passo importante verso un sistema di tutele più inclusivo, coerente con le evoluzioni del diritto europeo in materia di bilanciamento tra vita privata e lavorativa.

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