Osservatorio

Chiarimenti e istruzioni applicative sui profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working)

25 Settembre 2023

Con la circolare n. 25/E del 18 agosto 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito i chiarimenti interpretativi e le istruzioni applicative in merito ai profili fiscali del lavoro da remoto (c.d. smart working).

In particolare, con il documento di prassi in commento, l’Amministrazione Finanziaria si è focalizzata sul remote working e sull’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. “regime speciale per lavoratori impatriati”), e dall’articolo 44 del D.L. n. 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122/2010 (“regime speciale per docenti e ricercatori”).

Con la propria circolare, l’ente ha ripercorso quanto accaduto negli ultimi anni rispetto al costante incremento dell’impiego di forme di lavoro caratterizzate da prestazioni rese da remoto, definite “agili”, senza che sia necessaria la presenza fisica nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro o, comunque, in un determinato luogo meglio conosciute come “smart working” o lavoro agile, fenomeno favorito dal progresso tecnologico e fortemente accelerato dall’emergenza pandemica da Covid-19, che ha costretto la maggioranza dei settori a ridefinire le modalità lavorative.

Pertanto, anche a fronte delle significative revisioni organizzative che hanno coinvolto imprese, la circolare dell’Agenzia delle Entrate ha definito, in base alla normativa interna e alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, i criteri e l’applicazione delle regole fiscali e la determinazione della residenza a fini fiscali.

La residenza ai sensi dell’articolo 2 del TUIR

L’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) approvato con D.P.R. n. 917/1986, disciplina il concetto di “residenza fiscale” considerando residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.

Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.

Le nozioni sopra richiamate relative all’articolo 2 del TUIR vanno intese, per espressa previsione normativa, ai sensi della disciplina contenuta nel codice civile, che definisce il domicilio come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e fa coincidere la dimora abituale con il luogo di residenza.

In particolare, come chiarito già nella circolare ministeriale n. 304/1197, per configurare la residenza non è necessaria la continuità o definitività della dimora abituale, con la conseguenza che periodi anche prolungati di assenza non ne escludono il radicamento in Italia. In merito al domicilio, occorre tenere conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e affettivi, per considerare localizzato in Italia il centro degli affari e degli interessi.

Al riguardo, come già chiarito con la circolare 9/E/2016, l’Agenzia delle Entrate ha precisato altresì che l’accertamento dei presupposti per stabilire la residenza, diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza come definiti in base alla normativa civilistica.

I trasferimenti fittizi di residenza all’estero

La necessità di fornire chiarimenti interpretativi in relazione a fattispecie connotate dalla prestazione di attività lavorativa in modalità agile è strettamente connessa all’esigenza di contrastare casi di residenze all’estero non genuine. Al riguardo, difatti, il comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR ha introdotto una presunzione relativa di residenza fiscale, in base alla quale, salvo prova contraria che deve essere fornita dal contribuente, si considerano residenti in Italia le persone cancellate dall’anagrafe della popolazione residente in Italia e trasferite in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati nel decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999.

Il sopra menzionato comma 2-bis è stato introdotto proprio al fine di contrastare il fenomeno della frequente migrazione fittizia verso Paesi a fiscalità privilegiata. Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero, nei confronti di cittadini trasferiti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata continua a sussistere una presunzione (relativa) di residenza fiscale in Italia per effetto del citato comma 2-bis.

La residenza dei lavoratori da remoto nell’ordinamento interno

Tutto ciò premesso, appare evidente come l’Agenzia, nella propria circolare, abbia confermato che, anche a fronte delle significative revisioni organizzative che hanno coinvolto le imprese, non sono state apportate alla normativa interna modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza a fini fiscali. Di conseguenza, i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR (come illustrati nel precedente paragrafo) e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in remote working.

In altri termini, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale, che restano ancorati all’integrazione di almeno una delle sopra menzionate condizioni di cui all’articolo 2 del TUIR.

Regimi speciali applicabili in caso di svolgimento dell’attività lavorativa in Italia

In base alle precisazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate e richiamate ai punti precedenti, l’ente conferma quindi che i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR e che tale assunto rileva anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati dai già citati articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 e articolo 44 del D.L. n. 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122/2010.

In definitiva, può accedere al ”regime speciale per lavoratori impatriati” il soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in remote working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento in Italia.

Al contrario, non potrà continuare a fruire dell’agevolazione in esame il soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all’estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità remote working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.

Diverso, invece, è il caso dell’applicazione dell’agevolazione fiscale in commento relativa al ”regime speciale per docenti e ricercatori”. Ai fini dell’applicazione di questa agevolazione, difatti, è richiesto che sussista un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia del docente o del ricercatore e lo svolgimento dell’attività produttiva del reddito agevolabile.

Come già chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare n. 17/E/2017, la verifica del suddetto collegamento risponde alla ratio della norma di agevolare tutti i residenti all’estero, sia italiani che stranieri, i quali per le loro particolari conoscenze scientifiche possono favorire lo sviluppo della ricerca e la diffusione del sapere in Italia, trasferendovi il “know how” acquisito attraverso l’attività svolta all’estero.

Pertanto, contrariamente a quanto previsto per il regime impatriati, un docente o un ricercatore trasferitosi in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in modalità remote working, non potrà beneficiare dell’agevolazione per i relativi redditi in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato.

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