L’illecito utilizzo dell’auto aziendale può ledere il vincolo fiduciario (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, luglio 2021)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11644 del 4 maggio 2021, ha affermato che è legittimo il licenziamento del lavoratore che, in possesso di autovettura aziendale, cerchi di “mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro” a seguito dell’illegittimo utilizzo della stessa.

I fatti vedono, nel concreto, il dirigente medico di un’azienda unità sanitaria locale (“AUSL”) dissimulare un sinistro, avvenuto la sera dell’11 gennaio 2017, alla guida della propria auto aziendale, con lo scopo di occultare l’uso improprio della stessa, dichiarando nella denuncia aziendale che esso era avvenuto la mattina seguente, in circostanze differenti, quando egli aveva effettivamente necessità del mezzo per ragioni servizio.

Ciò costituiva, tra le altre, ulteriori violazioni alle norme interne all’azienda in merito all’utilizzo dei veicoli aziendali, come l’esclusività rispetto ai compiti d’ufficio, il divieto di detenere l’auto presso la propria abitazione privata, l’obbligo di compilare il libretto di marcia, etc.

A seguito di tale condotta, il datore di lavoro operava un recesso in tronco, motivato non tanto dall’utilizzo con modalità irregolari del mezzo aziendale, quanto nell’avere il dipendente tenuto l’azienda all’oscuro dei fatti attinenti all’incidente, cercando di mascherare la realtà mediante la denuncia di un falso sinistro.

Sul punto, la Corte territoriale ha ritenuto che fosse indubbio che l’unico incidente che aveva coinvolto il lavoratore fosse quello della sera dell’11 gennaio, essendo inverosimile che potessero essersi verificati due sinistri sullo stesso mezzo ad appena dodici ore di distanza. Tale eventualità era stata, inoltre, smentita dall’istruttoria.

A seguito del ricorso operato dal lavoratore avverso la sentenza di secondo grado, la Cassazione – nella disamina dei fatti analizzati nei primi due gradi di giudizio – ha osservato, anzitutto, come l’affermazione “inverosimile” utilizzata dalla Corte di Appello abbia due ordini di lettura: in particolare, detta corte potrebbe aver sostenuto che non fosse possibile il verificarsi dei due incidenti, oppure che non fosse probabile che ciò fosse accaduto.

Poiché è palese che una tale impossibilità non è predicabile” – ha osservato la Suprema Corte – “è evidente che la lettura della motivazione debba essere l’altra, ovverosia che la Corte ha ritenuto poco probabile che il lavoratore avesse fatto due incidenti con lo stesso mezzo a distanza ravvicinata di tempo“.

Tale costruzione probabilistica, per quanto sintetica e contratta, non può comunque dirsi illogica, pertanto “va da sé che non vi sia stata violazione delle regole sull’onere probatorio, avendo in sostanza la Corte ritenuto provato che l’incidente fosse stato solo uno e solo quello, pacificamente verificatosi, del giorno precedente“.

In merito all’avvenuto licenziamento, la Corte territoriale ha ritenuto che l’illecito non fosse da riportare alle ipotesi del codice disciplinare applicato riferite al mero “occultamento da parte del dirigente di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’amministrazione o ad esso affidati“, bensì alla più grave fattispecie che contempla l’ipotesi di “atti e comportamenti […] seppure estranei alla prestazione lavorativa, posti in essere anche nei confronti del terzo, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2119 c.c.“.

La Suprema Corte ha osservato come, d’altra parte, una cosa sia “il mero occultamento di un danno al mezzo“, mentre “altra e più grave cosa è l’avere cercato di mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro“.

Su tale ricostruzione fattuale – a dire dei giudici della Cassazione – la Corte territoriale ha incentrato la propria valutazione di gravità e di proporzionalità dell’accaduto rispetto alla sanzione applicata dall’azienda: il comportamento del lavoratore è stato, in concreto, idoneo a ledere il nesso fiduciario.

La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso presentato dal lavoratore, condannandolo al pagamento delle spese di rito.

 

Fonte: Sintesi

Collaboratori coordinati e continuativi: responsabili dei versamenti alla Gestione Separata

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11430/2021, ha statuito che, ai sensi dell’art. 2 della Legge 335/1995, i soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono i soggetti passivi dell’obbligazione contributiva nei confronti della Gestione Separata INPS. A nulla rileva, infatti, che l’art. 1 del D.M. 281/1996 ponga anche a carico dei committenti, nella misura dei due terzi, l’obbligo di versamento dei contributi, trattandosi soltanto di una forma di delegazione legale di pagamento, diretta a semplificare la riscossione.

Pertanto, per i “co.co.co.” il rapporto previdenziale è assimilabile a quello previsto per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata INPS, con conseguente inapplicabilità del principio dell’automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116, comma 1, cod. civ.

I fatti di causa

Una collaboratrice coordinata a progetto ricorreva in giudizio affinché l’INPS venisse condannato al pagamento in suo favore dell’indennità di fine rapporto prevista dall’art. 19 del D.L. 185/2008 (conv. nella Legge 2/2009), per i collaboratori in regime di c.d. monocommittenza (indennità, oggi, definitivamente sostituita dalla c.d. Dis-Coll introdotta dall’art. 15 D.Lgs. 22/2015).

La Corte d’Appello territorialmente competente, confermando la sentenza di primo grado, riteneva che la collaboratrice, iscritta alla Gestione Separata INPS, avesse diritto alla suddetta indennità sebbene il proprio committente avesse omesso il versamento dei contributi di legge. Ciò in virtù dell’applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali previsto dall’art. 2116, comma 1, cod. civ.

Avverso la sentenza di merito l’INPS ricorreva in cassazione affidandosi ad un unico motivo di ricorso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione adita ha ritenuto errata l’interpretazione fornita dai giudici di merito, rilevando che, come chiarito in precedenti pronunce di legittimità, esclusivamente nel caso del rapporto di lavoro subordinato il titolare dell’obbligazione contributiva nei confronti dell’INPS è sempre il datore di lavoro, con conseguente applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni.

Tale principio, infatti, in difetto di specifiche disposizioni di legge o di una legittima fonte secondaria in senso contrario, non può trovare applicazione nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale, “in cui invece il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce di regola la stessa costituzione del rapporto previdenziale e comunque la maturazione del diritto alle prestazioni, […] dal momento che nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale l’obbligazione contributiva grava sullo stesso lavoratore al quale compete il diritto alle prestazioni, il quale, coerentemente, non può che subire le conseguenze pregiudizievoli del proprio inadempimento

Al riguardo, è la stessa Legge 335/1995, all’art. 2, a prevedere per i lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa:

  • l’obbligo personale di iscrizione alla Gestione Separata (comma 26) e di versamento dei contributi previdenziali. Ciò in quanto il D.M. 281/1996 si limita a definire “le modalità ed i termini per il versamento del contributo” prevedendo “il riparto del medesimo nella misura di un terzo a carico dell’iscritto e di due terzi a carico del committente dell’attività espletata ai sensi del comma 26” (comma 30); e
  • il diritto all’accreditamento dei contributi soltanto agli iscritti che abbiano versato un contributo pari al minimale di reddito annualmente stabilito (comma 29).

Secondo la Corte di Cassazione, quanto previsto dalle richiamate disposizioni di legge equivale a dire che i lavoratori iscritti alla Gestione Separata INPS restano personalmente obbligati al versamento dei contributi, quantomeno nella misura di un terzo della loro misura complessiva.

Il committente risulta, dunque, un mero delegato al pagamento dei contributi, rimanendo il collaboratore coordinatore e continuativo l’unico vero titolare dell’obbligazione contributiva.

La Corte di Cassazione ha, altresì, stabilito che – in ipotesi di omissione contributiva da parte del committente – il collaboratore dovrebbe, entro i termini di prescrizione, dichiarare all’INPS di (i) rinunciare all’effetto privativo dell’accollo ex lege disposto in suo favore dall’art. 2, comma 30, della Legge 335/1995 e (i) assumere in proprio il debito relativo alla parte dei contributi accollata al committente, salvo poi agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento dei danni subiti.

In conclusione, la pronuncia in argomento ha stabilito che “anche per i soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione separata INPS il rapporto contributivo e previdenziale si atteggi (ndr si atteggia), con le precisazioni dianzi esposte, come quello degli altri lavoratori autonomi iscritti alla medesima Gestione, con conseguente inapplicabilità del principio di automaticità delle prestazioni”.

Diffida obbligatoria: i chiarimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Ai sensi della Legge n. 68/1999 i datori di lavoro che occupano almeno 15 dipendenti sono obbligati ad assumere un numero di soggetti disabili che varia in base al numero e alla categoria di appartenenza dei lavoratori occupati.

I datori di lavoro hanno a disposizione numerosi strumenti per adempiere all’obbligo in esame, tra i quali si annoverano (i) l’assunzione nominativa del soggetto disabile, (ii) la richiesta di assunzione numerica effettuata al centro di collocamento mirato, (iii) la richiesta di esonero parziale dietro versamento di una somma al Fondo regionale per l’occupazione degli invalidi e (iv) la richiesta di convenzioni che permettono di assolvere all’obbligo in modo graduale e programmato.

La mancata copertura dell’obbligo e la diffida obbligatoria

Nel caso di mancata copertura della quota d’obbligo, la Legge 68/1999, all’art. 15, prevede che “trascorsi sessanta giorni dalla data in cui insorge l’obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1, per ogni giorno lavorativo durante il quale risulti non coperta, per cause imputabili al datore di lavoro, la quota dell’obbligo di cui all’articolo 3, il datore di lavoro stesso è tenuto al versamento, a titolo di sanzione amministrativa, al Fondo di cui all’articolo 14, di una somma parti a cinque volte la misura del contributo esonerativo di cui all’art. 5, comma 3-bis al giorno per ciascun lavoratore disabile che non risulta occupato nella medesima giornata”.

Il Jobs Act (D. Lgs. n. 185/2016) ha introdotto al citato art. 15 il comma 4 bis) che prevede l’applicazione della diffida obbligatoria ex art. 13 del D. Lgs. n. 124/2004 nel caso di violazione degli obblighi di cui alla Legge n. 68/99. L’oggetto della diffida deve consistere nella presentazione agli uffici competenti della richiesta di assunzione o nella stipula del contratto di lavoro con la persona disabile avviata dagli uffici.

L’applicazione della sanzione in “misura minima”

Pertanto, per essere obbligato a pagare la sanzione, il datore di lavoro:

  • deve prima essere diffidato dagli enti preposti alla regolarizzazione e
  • solo se vi ottempera, dovrà versare una sanzione ridotta, pari ad un quarto di quella inizialmente prevista (“misura minima”).

In merito alla sanzione in misura minima, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’“INL”), con nota n. 6316 del 18 luglio 2018, ha evidenziato che essa deve essere applicata “a partire dal 61° giorno successivo a quello in cui è maturato l’obbligo senza che sia stata presentata la richiesta di assunzione agli uffici competenti a norma dell’art. 9, comma 1, ovvero dal giorno successivo a quello in cui il datore, pur avendo ottemperato nei termini all’obbligo di richiesta, non abbia proceduto all’assunzione del lavoratore regolarmente avviato dai nuovi Servizi per l’impego”.

Sempre l’INL, con la nota n. 966 del 17 giugno 2021, riprendendo la propria del 23 marzo 2017 (n. 2283), ha ribadito che è possibile adempiere alla diffida unicamente con “la presentazione, sia pure tardiva, della richiesta di assunzione numerica, ovvero la stipula di un contratto di lavoro”.

L’INL sottolinea che il datore di lavoro non è ammesso al pagamento della sanzione in misura minima nel caso in cui, rispetto ad un’accertata scopertura verificatasi nel tempo, venga meno l’obbligo di assunzione per effetto di una riduzione dell’organico aziendale”. In tale caso, infatti, la violazione agli obblighi non sarà oggetto di diffida in quanto il venir meno dell’obbligo di assunzione non è conseguenza, seppur tardiva, di un’iniziativa del datore di lavoro ma è una mera conseguenza di una riduzione della c.d. base di computo.

Nel predetto caso, pertanto, al datore di lavoro verrà contestata la sanzione amministrativa pervista dall’art. 15 della L. 68/1999 in ragione del numero di giornate lavorative intercorrenti dalla scadenza dei 60 giorni previsti per adempiere agli obblighi sino al momento in cui gli stessi decadono per effetto della riduzione dell’organico aziendale.

Agenzia delle Entrate: l’ente estero senza una stabile organizzazione in Italia non ha oneri come sostituto d’imposta

Con la risposta ad interpello n. 449/2021, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito ai doveri quale sostituto d’imposta in capo ad un ente estero senza una stabile organizzazione in Italia.

Nella risposta ad interpello hanno assunto rilievo elementi come l’effettiva presenza, in Italia, di una stabile organizzazione o base fissa di tale entità, nonché l’eventuale ricorso agli istituti del rappresentante fiscale e dell’identificazione diretta da parte della stessa.

I fatti oggetto dell’istanza di interpello

Il soggetto istante è un’organizzazione che, nel 2020, giungeva in Italia per lo svolgimento delle attività economiche legate al proprio business.

Allo scopo di dare inizio, nel più breve tempo possibile, alle proprie attività, l’organizzazione ingaggiava, con contratto di prestazione occasionale, circa trenta persone remunerate attraverso un conto corrente aperto, presso una filiale bancaria, da un funzionario della società stessa. In particolare, l’istante ha rappresentato di aver erogato corrispettivi netti concordati che, nella maggior parte dei casi, non hanno superato l’importo di 5.000 Euro.

L’ente estero non sapeva di dover nominare un soggetto come rappresentante fiscale in Italia. Premessa, dunque, la volontà di provvedere direttamente al pagamento di ogni eventuale imposta relativa alle prestazioni erogate dai prestatori d’opera, nell’intento di sanare ogni eventuale pendenza, l’istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate istruzioni utili per assolvere agli adempimenti fiscali previsti dalla normativa italiana.

La nomina del rappresentante fiscale e l’identificazione diretta sul territorio italiano

La società istante ha dapprima prospettato di voler nominare, retroattivamente, “un rappresentante fiscale in Italia (art. 17 D.P.R. 633/72) identificato dal medesimo soggetto che ha provveduto all’apertura del conto corrente bancario, persona fisica di nazionalità extra-Ue dotata di codice fiscale italiano ma non residente sul territorio ovvero attribuire tale carica ad altro soggetto residente sul territorio”.

Come alternativa alla nomina del rappresentante fiscale, la società ha individuato la necessità di  “identificarsi direttamente sul territorio italiano mediante la richiesta di codice fiscale come da Modello AA5/6, soggetto non residente […] con domicilio fiscale nella città di […] ove ha svolto […], con la qualifica di sostituto di imposta […] limitatamente ai redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione o base fissa in Italia“.

Inoltre, la società istante ha reso noto di avere pianificato, per il 2021, l’impiego di un dipendente in Italia: ha, pertanto, chiesto se l’identificativo fiscale ottenuto in base ad una delle due alternative sopra citate fosse o meno sufficiente per agire come sostituto di imposta, consentendo l’ordinato e corretto svolgimento della operatività dal punto di vista fiscale.

Le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate

Alla luce dei chiarimenti illustrati, l’autorità fiscale ha evidenziato, preliminarmente, che l’istante non sembra svolgere alcuna attività rilevante ai fini IVA in Italia, risultando, quindi, inconferente il richiamo all’art. 17 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (c.d. “Decreto IVA”) e, in particolare, agli istituti del rappresentante fiscale (terzo comma del citato art. 17) e dell’identificazione diretta (art. 35-ter del medesimo Decreto).

Sul punto, l’autorità fiscale ha ricordato che i soggetti extra-Ue che intendono porre in essere in Italia operazioni rilevanti ai fini IVA, qualora privi di stabile organizzazione, per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti derivanti dall’applicazione di tale tributo, possono identificarsi direttamente ex art. 35-ter del Decreto IVA solo “se esercitano una attività di impresa, arte o professione in un Paese terzo con il quale esistano strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta”. Diversamente, devono nominare un rappresentante fiscale residente nel territorio dello Stato.

Nel caso di specie, dunque, ove fosse necessario acquisire una posizione IVA in Italia, il rappresentante fiscale non potrebbe essere individuato nel soggetto che ha provveduto all’apertura del conto corrente bancario in Italia, trattandosi di una persona fisica non residente in Italia, come riferito dall’istante.

Inoltre, secondo l’Agenzia delle Entrate, i compensi erogati alle circa trenta persone ingaggiate con contratto di “prestazione occasionale”, costituiscono redditi di lavoro autonomo occasionale per i percipienti, fiscalmente rilevanti ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. l), del TUIR.

Il requisito della stabile organizzazione

Ai fini dell’effettuazione delle ritenute fiscali da operare su detti compensi, viene chiarito, dunque, che possono essere sostituti di imposta anche i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, limitatamente ai redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione o base fissa in Italia. In assenza di tale requisito, infatti, l’obbligo sopra richiamato non ricorre.

Pertanto, “solo laddove l’entità estera abbia istituito in Italia una stabile organizzazione ovvero una base fissa, questa sarà tenuta a richiedere il codice fiscale e ad adempiere ai conseguenti obblighi in qualità di sostituto d’imposta”, consistenti nell’effettuazione e versamento delle ritenute, certificazione degli emolumenti e di presentazione del modello 770.

Quanto alle modalità per adempiere a tali obblighi, l’Agenzia delle Entrate ha rinviato alle istruzioni di compilazione del Modello AA5/6 – “Domanda attribuzione codice fiscale, comunicazione variazione dati, avvenuta fusione, concentrazione, trasformazione, estinzione (soggetti diversi dalle persone fisiche)” – con particolare attenzione alle indicazioni fornite per i soggetti non residenti.

L’ente estero, qualora, invece, non abbia una stabile organizzazione in Italia, potrebbe assolvere ai necessari adempimenti fiscali relativamente ai compensi erogati solo dopo aver assunto la qualifica di sostituto d’imposta. In mancanza, sarà cura del personale ingaggiato con contratto di “prestazione occasionale” effettuare, in autonomia, opportuna dichiarazione dei redditi in Italia.

Agenzia delle Entrate: fisco agevolato per i calciatori professionisti

Con risposta ad interpello n. 447/2021, l’Agenzia delle Entrate ha preso in esame il quesito formulato da una società calcistica italiana militante nella massima serie, la quale ha chiesto chiarimenti in merito ai requisiti e al campo di applicazione del regime agevolativo per i lavoratori impatriati applicato ai professionisti sportivi.

Nello specifico, l’istante ingaggia i propri calciatori con contratti di lavoro subordinato disciplinati dalla Legge 91/1981, che regola i rapporti tra società e sportivi professionisti.

La società, al contempo, agisce come sostituto d’imposta, operando le ritenute fiscali sui compensi che eroga ai calciatori.

Per questi ultimi che, in presenza dei requisiti, richiedono l’applicazione del regime impatriati (art. 16, comma 5-quater, D.Lgs. 147/2015), le ritenute sono operate sul 50% dell’imponibile fiscale.

Secondo l’istante, ai fini dell’accesso al regime impatriati da parte dei cittadini di Stati extra-UE, è sufficiente l’integrazione dei requisiti di cui al primo comma dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, non essendo, invece, necessario il soddisfacimento degli ulteriori requisiti previsti dal secondo comma del medesimo articolo. 

Riferimenti normativi

Ai sensi del D.Lgs. 147/2015, i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 del DPR n. 917/1986, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare al ricorrere di determinate condizioni.

In primis, è necessario che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni.

Contestualmente, è necessario che si verifichi il requisito secondo il quale l’attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente all’interno del territorio italiano.

Tale disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’art. 5 del DL n. 34 del 30 aprile 2019 (conv. nella Legge 28 giugno 2019, n. 58), in vigore dal 1° maggio 2019.

Per fruire del trattamento di cui al citato art. 16, in vigore a decorrere dal 1° maggio 2020, è necessario, infatti, che il lavoratore

  • trasferisca la residenza nel territorio dello Stato;
  • non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento,
  • si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni e, infine,
  • svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

Sono, altresì, destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione Europea o di uno Stato extra-UE con cui risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, i quali:

  • siano in possesso di un titolo di laurea e
  • abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o,
  • in alternativa, abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post-laurea.

L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio, a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia.

Con riguardo ai soggetti che possono optare per l’accesso al regime agevolato, il comma 5-quater – introdotto nel testo dell’art. 16 a seguito delle modifiche apportate all’art. 5 del D.L. n. 34 del 2019 in sede di conversione – ha esteso la platea dei beneficiari anche agli sportivi professionisti disponendo che concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro imponibile fiscale.

Con la circolare del 28 dicembre 2020, n. 33/E, l’Agenzia delle Entrate ha, altresì, chiarito come il regime agevolativo trovi applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che, nel rispetto delle condizioni normativamente previste, abbiano trasferito la residenza fiscale in Italia a decorrere dal 30 aprile 2019.

Successivamente, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 marzo 2021, è stato stabilito che, per usufruire di tale regime agevolato, si debba procedere a versare un importo pari al 5% o al 10% dei redditi percepiti nell’annualità precedente. Sono esclusi i lavoratori sportivi professionisti, il cui reddito è detassato nella misura del 50% e sempreché versino un contributo pari allo 0,5% dell’imponibile, destinato al potenziamento dei settori giovanili.

Da un punto di vista comparatistico, l’idea dell’impiego della leva fiscale è un aspetto non trascurato anche da altri paesi europei: la previsione dell’art. 16 riflette, infatti, un processo in atto da anni in diversi paesi dell’Unione Europea.

Analoghe normative fiscali in favore di lavoratori impatriati sono state istituite in Francia, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo senza tralasciare il sistema della “remittance basis” attualmente a regime nell’ordinamento di Irlanda e Regno Unito.

La risposta all’interpello

Sulla base dei chiarimenti forniti e dell’evoluzione normativa sopra esposta, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello in esame, ha chiarito che il lavoratore che ha trasferito nel 2020 la propria residenza fiscale in Italia può beneficiare dell’agevolazione fiscale prevista per i lavoratori impatriati per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia a decorrere dall’anno di imposta 2020 (e per i quattro periodi successivi). Ciò, essendo sufficiente il soddisfacimento dei requisiti previsti al primo comma dell’art. 16 del D.Lgs. citato, ovverosia che il soggetto non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti, he si impegni a risiedere in Italia per almeno due anni ed, infine, che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio dello Stato.

 

Agosto 2021: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  1. CCNL Metalmeccanici (Piccola industria): contributi sindacali

Le aziende, mediante affissione in bacheca da effettuarsi fino al 31 agosto2021, informano i lavoratori non iscritti al sindacato che, in occasione del rinnovo del CCNL, i sindacati stipulanti Fim, Fiom e Uilm chiederanno una quota associativa straordinaria di Euro 35,00.

Tale quota dovrà essere trattenuta dal datore di lavoro sulla retribuzione afferente al mese di novembre 2021.

Insieme alle buste paga del mese di agosto 2021, i datori di lavoro distribuiranno ai lavoratori un modulo per consentire loro di accettare o rifiutare la richiesta del sindacato, il quale dovrà essere riconsegnato  entro il 15 ottobre 2021.

 

  1. CCNL Servizi postali appaltati: una tantum

Ai lavoratori in forza al 14 luglio 2020 deve essere erogato un importo “una tantum” pari ad Euro 200 lordi – parametrato sul III livello di inquadramento – da proporzionarsi con riferimento a tante quote mensili quanti sono i mesi di servizio effettivo prestati dal ciascun lavoratore nel periodo 1° luglio 2017 – 31 luglio 2020.

La frazione di mese superiore a 15 giorni è considerata, a tutti gli effetti, come mese intero.

Detto importo dovrà essere riproporzionato per i lavoratori a tempo parziale.

L’una tantum è corrisposto con le seguenti modalità:

  • 1° quota con la retribuzione del mese di agosto 2020;
  • 2° quota con la retribuzione del mese di febbraio 2021;
  • 3° quota con la retribuzione del mese di agosto 2021;
  • 4° quota con la retribuzione del mese di dicembre 2021.

L’importo è erogato ai lavoratori in forza alla data di erogazione di ciascuna tranche, in proporzione al numero di mesi svolti presso l’azienda.

L’importo è escluso dalla base di calcolo del T.F.R. ed è stato quantificato considerando in esso anche i riflessi sugli istituti di retribuzione diretta ed indiretta, di origine legale e contrattuale, ed è quindi comprensivo degli stessi.

Liv.

Importi singola tranche

Totale

Euro

1

68,03

272,13

2

56,97

227,88

3

50,00

200,00

4S

47,54

190,16

4

45,08

180,32

5

40,98

163,92

 

  1. CCNL Vetro: contributi contrattuali

Per le aziende del

  1. la produzione di vetro piano, della produzione di lana e filati di vetro,
  2. le seconde lavorazioni del vetro piano e
  • vetro artistico e tradizionale,

in ragione della decorrenza posticipata della prima tranche di aumento, i termini relativi al contributo sindacale sono posticipati come segue:

  • al 30 giugno 2021 l’informativa ai lavoratori tramite comunicato;
  • al mese di agosto 2021 la trattenuta (da versare entro il 30 settembre 2021).

La comunicazione, comprensiva del modulo di manifestazione del diniego, dovrà essere fornita ai lavoratori con i cedolini paga dei mesi di giugno e luglio 2021. L’eventuale diniego dovrà essere espresso entro il 10 agosto 2021.

 

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