Concorsi aziendali interni vincolanti per il datore di lavoro (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, febbraio 2021)

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28141 del 14 dicembre 2020, ha affermato che il concorso indetto dal datore di lavoro per ricoprire ruoli professionali che costituiscono un avanzamento di carriera realizza una “offerta contrattuale” ai destinatari del bando potenzialmente interessati.

Nell’ambito dei rapporti di lavoro privato, il datore è dunque tenuto a gestire la procedura selettiva e a individuare, di conseguenza, i dipendenti meritevoli della promozione attenendosi alle regole previste nel bando di concorso, in conformità ai principi di correttezza e buona fede che sottendono ad ogni obbligazione contrattuale, incluse quelle riferite – come nel caso in trattazione – ai rapporti di lavoro.

I fatti di causa vedono una società di gestioni sanitarie bandire una procedura di selezione interna per l’assegnazione del ruolo di caposala; l’iter selettivo, in particolare, si sviluppava in due distinte fasi: una, riguardante l’esame delle candidature e dei relativi curricula; l’altra, consistente in un colloquio attitudinale con i candidati svolto da una società terza specializzata.

A riguardo, una lavoratrice che aveva preso parte al bando agiva in giudizio al fine di conseguire pronuncia di illegittimità della procedura di selezione interna di conferimento di tale incarico, chiedendo la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale nella misura delle differenze retributive spettanti – da rimodularsi sul conseguente livello di inquadramento – nonché del pregiudizio alla professionalità.

La Corte d’Appello di Caltanissetta, riformando la decisione di primo grado, respingeva la domanda proposta dalla lavoratrice esclusa all’esito della prova attitudinale. evidenziando come la stessa risultasse attitudinalmente inidonea – nonché priva dei requisiti richiesti – rispetto al processo di selezione aziendale. Veniva dunque rilevato come, conformemente alla corretta applicazione del percorso selettivo oggetto del bando, il datore di lavoro avesse conferito l’incarico di caposala ad altro candidato in piena legittimità.

La Cassazione giungeva a confermare la pronuncia della corte territoriale, evidenziando come il bando di concorso sia correttamente esercitato qualora il datore di lavoro, attendendosi al percorso selettivo previsto, lo abbia gestito con correttezza e secondo buona fede, attendendo al percorso selettivo predeterminato.

Il bando di concorso per l’assunzione in servizio, quello per la promozione a un incarico superiore o quello per il riconoscimento di trattamenti e benefici a favore del personale – osserva la Corte – equivalgono tecnicamente a un’offerta al pubblico, la quale determina il sorgere di un’obbligazione nei confronti dei lavoratori cui la partecipazione al processo selettivo è indirizzata.

Il bando, se contiene gli elementi essenziali del contratto di lavoro alla cui conclusione è diretto, costituisce dunque offerta al pubblico ex articolo 1336 del Codice civile. A tale proposito, la norma codicistica prevede che l’offerta al pubblico valga come proposta contrattuale, se non risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.

Tale offerta ha dunque l’effetto di vincolare il datore di lavoro, facendo sì che questi – una volta avviato il procedimento – non, sia titolato a modificare il contenuto della selezione così come delineata nel bando di concorso a pregiudizio dei soggetti cui l’offerta è stata rivolta.

Su tali basi, rimarcate in più occasioni dalla giurisprudenza di merito, la Suprema Corte ha affermato che detto principio sia applicabile anche al caso di specie, rigettando le pretese della lavoratrice.

Integrazione salariale: al via le domande per le 12 settimane

Con il messaggio n° 406 del 29 gennaio scorso, l’INPS ha fornito le istruzioni operative attinenti alle 12 settimane di integrazione salariale per l’anno 2021 stanziate dalla Legge di bilancio 2021.

Sarà dunque possibile, per i datori di lavoro interessati ai nuovi periodi, presentare le domande telematiche relative ai trattamenti di FIS e cassa integrazione ordinaria e in deroga, utilizzando l’apposita causale presente sul portale istituzionale INPS.

Il termine per la presentazione delle domande è fissato per la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.

Per le sospensioni o riduzioni di attività iniziate nel mese di gennaio, le domande saranno dunque da presentare entro il prossimo 28 febbraio.

Ricordiamo che le 12 settimane di integrazione salariale sono fruibili entro il 31 marzo 2021 con riferimento alla cassa integrazione ordinaria e fino al 30 giugno prossimo per quanto riguarda FIS e cassa integrazione in deroga.

Socio-amministratore di S.r.l. e obbligo di versamento dei contributi alla Gestione Commercianti

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1759 del 27 gennaio 2021, è intervenuta ancora una volta sul tema della doppia contribuzione a carico dei soggetti che sono, simultaneamente, soci e amministratori di società a responsabilità limitata con oggetto sociale classificabile nel settore terziario.

I fatti di causa

La Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione proposta dal presidente del consiglio di amministrazione e socio di una S.r.l. avverso una cartella di pagamento per i contributi dovuti alla Gestione Commercianti INPS per l’attività svolta in qualità di socio che, in quanto amministratore, risultava altresì iscritto alla Gestione Separata INPS.

La Corte d’Appello, ritenuta ammissibile la doppia iscrizione, affermava che ai fini dell’iscrizione alla Gestione Commercianti INPS l’attività doveva essere diversa e distinta da quella di amministratore e che, nel caso di specie, l’attività di supervisione e la posizione di referente per i clienti e i fornitori o l’assunzione di un dipendente, rientravano nelle normali incombenze dell’amministratore.

Avverso la sentenza di secondo grado l’INPS ricorreva in cassazione affidandosi ad unico articolato motivo di ricorso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha, innanzitutto, osservato che il comma 208 dell’articolo 1, della legge 662/1996 non ha introdotto alcun principio di alternatività tra l’iscrizione alla Gestione Commercianti e l’iscrizione alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, Legge n. 335/95.

La Corte ha infatti ribadito che, a seguito dell’interpretazione autentica della suddetta norma operata dall’articolo 12, comma 11, del Decreto Legge 78/2010, convertito nella Legge 122/2010, il legislatore ha escluso la regola dell’unicità dell’iscrizione. Unicità “che resta possibile (e presso la gestione dell’attività prevalente) solo per le attività autonome esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti.

La Corte ha, altresì, evidenziato che “in caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti o artigiani ovvero di coltivatori diretti contemporaneamente all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui all’art. 2, comma 26, legge 335/1995, non opera l’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, quale prevista dall’art. 1, comma 208, legge n. 662 del 1996“.

Secondo la Corte di Cassazione, il suddetto principio della doppia contribuzione, richiamato dalla giurisprudenza, ha prodigato la prassi dell’INPS di procedere con l’iscrizione d’ufficio del socio-amministratore di società a responsabilità limitata: (i) presso la Gestione Commercianti INPS, per il reddito d’impresa prodotto in qualità di socio e (ii) presso la Gestione Separata INPS per il reddito derivante dal compenso percepito per la carica di amministratore.

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione non ha messo in discussione il principio della doppia contribuzione bensì la prassi operata d’ufficio dall’istituto previdenziale. In particolare, la stessa ha statuito che “lo svolgimento […] della sola attività di amministratore, senza alcuna partecipazione diretta all’attività materiale ed esecutiva dell’azienda” non può essere sufficiente a giustificare l’iscrizione alla Gestione Commercianti, e che “né, di per sé, la qualifica di socio di una società di capitali (con responsabilità limitata al capitale sottoscritto e con partecipazione alla realizzazione dello scopo sociale esclusivamente tramite il conferimento di tale capitale) può essere significativa dell’esercizio di diretta attività commerciale nell’azienda”.

E nel caso di specie, lo svolgimento di attività di supervisione, la funzione di referente per i clienti e fornitori o l’assunzione di un dipendente rientrano tutte nelle competenze dell’amministratore e non anche in quelle di socio.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’INPS confermando l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio del socio-amministratore alla Gestione Commercianti non avendo l’istituto previdenziale provato la “partecipazione diretta all’attività materiale ed esecutiva dell’azienda” per iscrivere il socio alla predetta gestione.

Nullo il licenziamento economico intimato in violazione del divieto per COVID-19

Il Tribunale di Mantova, con la sentenza n. 112/2020, ha dichiarato nullo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad una apprendista, poiché contrario al divieto disposto dalla normativa emergenziale attualmente in vigore a causa della pandemia da COVID-19.

I fatti

La ricorrente era stata assunta da una società operante nel settore del commercio al dettaglio di abbigliamento e bigiotteria con contratto di apprendistato professionalizzante, mansioni di “aiuto commessa” e inquadramento nel VI livello del CCNL Commercio.

Dal mese di marzo al mese di maggio 2020, l’apprendista era stata collocata in cassa integrazione per la diminuzione dell’attività lavorativa a causa del diffondersi della pandemia. In seguito alla fruizione degli ammortizzatori sociali e dopo essere stata posta formalmente in ferie per tutto il mese di giugno, con lettera del 9 giugno 2020 l’apprendista veniva licenziata con effetto dal 30 giugno successivo in ottemperanza al periodo di preavviso contrattualmente previsto.

A suffragio del recesso il datore di lavoro aveva addotto la chiusura della sede operativa dove la lavoratrice operava e la conseguente cessazione dell’attività dell’azienda.

L’apprendista ricorreva in giudizio avversi il licenziamento per motivi economici intimatole, eccependo che l’attività aziendale non era effettivamente cessata e che era stato violato l’obbligo di repechage. L’apprendesti invocava così la nullità del licenziamento per violazione dell’articolo 46 del D.L. 18/2020.

Il divieto di licenziamento come misura di garanzia per l’ordine pubblico

Nella sentenza in esame, in via preliminare il Tribunale di Mantova ha rilevato come il divieto generalizzato di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia stato introdotto dal Decreto Legge 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia) sino al 17 maggio 2020, per poi essere prorogato, inizialmente, fino al 17 agosto 2020 dal Decreto Legge 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) e, in seguito, a tutto il 2020 dal Decreto Legge 104/2020 (c.d. Decreto Agosto) con riferimento ai datori di lavoro che non avessero esaurito, a tale data, le settimane di integrazione salariale disponibili.

Secondo il Giudice, tale divieto si configura come “una tutela temporanea della stabilità dei rapporti per salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico ed è una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico”.

La nullità del licenziamento

Nella sentenza si evidenzia che “dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola, con una sanzione ripristinatoria ex art. 18, comma 1, Legge 300/1970 e ex art. 2, Decreto legislativo 23/2015“, vale a dire con la reintegra del lavoratore licenziato nel proprio posto di lavoro.

Su tali presupposti, non avendo il datore di lavoro “provato di aver cessato l’attività come enunciato nella lettera di licenziamento”, il Tribunale di Mantova ha dichiarato nullo il licenziamento e accolto il ricorso dell’apprendista, con conseguente condanna del datore di lavoro a reintegrarla nonché al pagamento in suo favore della retribuzione e al versamento dei contributi dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegra.

Regime fiscale per i lavoratori che rientrano in Italia a seguito di distacco all’estero: la risposta dell’Agenzia delle Entrate

Con risposta all’interpello n. 42 del 18 gennaio 2021 l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata nuovamente sull’ambito di applicazione del regime agevolato introdotto dall’art. 16 del D. Lgs. 147/2015 per i c.d. lavoratori impatriati. L’Agenzia si è soffermata, in particolar modo, sulla possibilità per i lavoratori che rientrano in Italia, a seguito di distacco all’estero, di beneficiare del suddetto regime.

Il quesito del contribuente

Nel formulare il suo interpello, un cittadino italiano dichiarava che:

  • sino al 14 febbraio 2016 aveva prestato attività lavorativa in Italia presso una società italiana;
  • dal 15 febbraio 2016 era stato distaccato presso una società del gruppo con sede in Cina, con un contratto di diritto estero;
  • a decorrere dal 1° gennaio 2021 era stato riassunto dalla medesima società italiana con contratto a tempo indeterminato.

Alla luce di quanto precede, il contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate se fosse possibile fruire del regime speciale riservato ai lavoratori impatriati a decorrere dal periodo di imposta 2021.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

In primo luogo, l’Agenzia delle Entrate riepiloga i termini del beneficio fiscale, alla luce delle ultime modifiche normative, rimarcando la possibilità per il lavoratore di fruire dell’abbattimento dell’imponibile fiscale dei redditi prodotti sino al 70 per cento se:

  • trasferisce la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR;
  • non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  • svolge l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

L’agevolazione è fruibile a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la propria residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Tuttavia, riprendendo quanto già espresso con la precedente circolare n. 33/E/2020, l’Agenzia delle Entrate specifica che, ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di un distacco estero, il beneficio fiscale non spetta:

  • in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro” nonché 
  • “nell’ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di un nuovo ruolo aziendale, al momento del rimpatrio rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio”.

L’Agenzia, a titolo esemplificativo e non esaustivo, individua come indici di “continuità” che, pertanto, determinano l’inaccessibilità per il lavoratore al beneficio fiscale in esame:

  • il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
  • il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
  • l’assenza del periodo di prova;
  • la presenza di clausole volte a non liquidare i ratei delle mensilità aggiuntive maturate nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
  • la presenza di clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la società di appartenenza in vigore prima del distacco.

Tali indici fanno dedurre una sostanziale continuità con il rapporto di lavoro instaurato prima del distacco in cui continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in vigore prima dell’espatrio che, pertanto, escludono l’applicabilità del regime agevolato.

Diverso sarebbe, invece, il caso in cui l’attività lavorativa svolta dal lavoratore, successivamente al rientro in Italia, costituisca una vera e propria “nuova” attività attraverso la stipula di un nuovo contratto di lavoro che preveda un ruolo aziendale completamente diverso da quello originario. In tale ipotesi il lavoratore sarebbe legittimato a fruire dell’agevolazione fiscale in argomento.

Non potendo verificare la situazione lavorativa dell’istante, l’Agenzia enuclea il principio secondo il quale il contribuente potrebbe fruire del regime agevolato con decorrenza dal 2021 solo nel caso in cui l’attività lavorativa svolta in Italia dopo il distacco all’estero sia totalmente “nuova” e non si ponga in continuità con il precedente rapporto di lavoro in essere prima dell’espatrio.

Massimali per i trattamenti di integrazione salariale e ticket di licenziamento 2021

Con la circolare n. 7 dello scorso 21 gennaio, l’INPS ha comunicato gli importi massimi, in vigore dal 1° gennaio 2021, dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario, dell’indennità di disoccupazione NASpI nonché l’importo del ticket di licenziamento.

Trattamenti di integrazione salariale CIGO, FIS, CIGD: normativa di riferimento.

Ai sensi dell’art. 3, comma 5 del Decreto Legislativo n.148/2015, la misura della prestazione, sia per l’assegno di solidarietà che per l’assegno ordinario, è fissata nell’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese tra le ore zero e il limite dell’orario contrattuale, entro un massimale di importo mensile erogabile.

Gli importi massimi di integrazione salariale e la retribuzione mensile di riferimento sono annualmente aggiornati sulla base della variazione annuale dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

La circolare in esame riporta i nuovi importi in vigore dal 1° gennaio 2021.

I massimali mensili di integrazione salariale spettanti sono connessi alla retribuzione lorda mensile in godimento del lavoratore, in particolare:

  • per i lavoratori percipienti una retribuzione lorda inferiore o pari a 2.159,48 euro, l’importo massimo spettante sarà pari a 998,18 euro lordi;
  • per i lavoratori con retribuzioni superiori a 2.159,48 euro, invece, l’importo massimo lordo sarà pari a 1.199,72 euro.

Gli importi sono indicati al lordo della riduzione prevista ai sensi dell’articolo 26 della legge n. 41 del 28 febbraio 1986 che attualmente è pari al 5,84%.

Pertanto, gli importi al netto della suddetta trattenuta saranno rispettivamente di 939,89 euro (per le retribuzioni lorde pari o inferiori a 2.159,48 euro) e di 1.129,66 euro (per le retribuzioni lorde superiori a 2.159,48 euro).

Ticket di licenziamento: normativa di riferimento

L’articolo 2, commi 31 e ss., della Legge 92 del 28 giugno 2012, ha introdotto il c.d. ticket di licenziamento, ovverosia un contributo addizionale una tantum che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazioni di rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto ai trattamenti NASpI.

Più precisamente il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket di licenziamento nelle seguenti ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro:

  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo;
  • licenziamento per giusta causa;
  • licenziamento durante o dopo il periodo di prova;
  • licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  • recesso dell’apprendista al termine del periodo formativo;
  • dimissioni per giusta causa;
  • risoluzione consensuale nell’ambito della procedura obbligatoria di conciliazione ex art. 7 della legge 604/1966 da instaurarsi dinnanzi l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Procedura che trova applicazione nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di dipendenti che soggiacciano al regime di tutela di cui all’art. 18 della Legge 300/70. Non trova, invece, applicazione nei confronti di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 che rientrano nel regime di tutela previsto dal previsto dal D.Lgs. 23/2015 (c.d. “tutele crescenti”);
  • risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla propria residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

Il valore del ticket è pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI.

Nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo di aziende rientranti nel campo di applicazione della CIGS, ai sensi dell’articolo 1 comma 137 della legge n.205/2017, i datori di lavoro sono tenuti a versare il contributo per un importo pari all’82% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.

L’INPS, con la circolare in esame, ha precisato che il contributo, per l’anno 2021, è pari a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni: l’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro per i rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi.

Il contributo, inoltre, deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale. Qualora il rapporto di lavoro cessato sia inferiore a dodici mesi, il contributo si ridetermina in proporzione: a tal fine si considera mese intero una prestazione lavorativa protrattasi per almeno 15 giorni di calendario.

Nelle casistiche di licenziamento collettivo invece, dando seguito a quanto precisato in precedenza, per l’anno 2021, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale, la contribuzione da versare è pari a 1.006,59 euro (1.227,55 x 82%).

Per i lavoratori con anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo sarà pari a 3.019,77 euro (1.006,59 x 3).

La misura del contributo è moltiplicata per 3 volte qualora non venga raggiunto e sottoscritto accordo sindacale all’esito della procedura di licenziamento collettivo.

Marzo 2021: NOVITA’ E RINNOVI CCNL

  1. CCNL Agenzie di viaggio e turismo (Confcommercio): una tantum

Il CCNL dispone che, nel mese di marzo 2021, sia erogata la 2° tranche dell’una tantum prevista dall’articolo 151. L’erogazione della 3° e ultima tranche è in programma per il mese di settembre 2021.

Di seguito si indica, in Euro, il dettaglio delle diverse tranche che costituiscono l’importo una tantum.

Livelli

1° tranche (10/2019)

2° tranche (03/ 2021)

3° tranche (09/2021)

Totale

a

128,25

128,25

128,25

384,75

b

118,50

118,50

118,50

355,50

1

111,00

111,00

111,00

333,00

2

101,25

101,25

101,25

303,75

3

95,25

95,25

95,25

285,75

4

90,00

90,00

90,00

270,00

5

84,75

84,75

84,75

254,25

6s

81,00

81,00

81,00

243,00

6

80,25

80,25

80,25

240,75

7

75,00

75,00

75,00

225,00

 

  1. CCNL Case di cura private – personale medico (ARIS): una tantum

Il CCNL riconosce ai dirigenti medici dipendenti delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di diritto privato aderenti ad ARIS assunti prima del 1° gennaio 2020 ed ancora in servizio alla data del successivo 7 ottobre un importo netto a titolo di una tantum pari ad Euro 2.500,00. Detto importo ha la finalità di riparare il disagio derivante dalla ritardata sottoscrizione del CCNL stesso.

L’importo verrà corrisposto in 5 tranches di pari importo, con le retribuzioni dal mese di gennaio 2021 al mese di maggio 2021.

 

  1. CCNL Sacristi: una tantum

Il CCNL ha riconosciuto ai sacristi in forza dal 1° gennaio 2018, in aggiunta alla retribuzione ordinaria, una indennità lorda una tantum, senza alcun riflesso su alcun istituto retributivo e di legge, pari ad Euro 1.300,00 da erogarsi in tre quote.

Nel mese di marzo 2021 dovrà essere corrisposta la terza ed ultima quota. In ogni caso, per comprovate ragioni economiche, i datori di lavoro potranno richiedere di essere esonerati dalla corresponsione della suddetta indennità all’Ente Bilaterale, cui il CCNL demanda l’individuazione dei relativi criteri di esonero. Per i sacristi assunti a tempo parziale l’importo dell’una tantum è proporzionato in base alla percentuale dell’orario ridotto rispetto al tempo pieno, corrispondente a 44 ore settimanali.

 

  1. CCNL in scadenza

Alla data attuale, risultano in scadenza al 31 marzo 2021 i seguenti CCNL:

  • CCNL Teatri (Esercizi);
  • CCNL Organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionali;
  • CCNL Teatri stabili (impiegati ed operai);
  • CCNL Teatri stabili (personale artistico).
  1. Aumento dei minimi retributivi

A decorrere dal 1° marzo 2021 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL Alberghi diurni (Confcommercio);
  • CCNL Autorimesse e noleggio automezzi;
  • CCNL Edilizia (Artigianato);
  • CCNL Pubblici esercizi (Confcommercio);
  • CCNL Pubblici esercizi, ristorazione e turismo;
  • CCNL Stabilimenti balneari (Confcommercio);
  • CCNL Turismo (Confesercenti).
Contattaci