Esonero contributivo per i datori di lavoro che non richiedono ulteriore trattamenti di integrazione salariale

Dando seguito alle disposizioni del decreto agosto, con la circolare n.105 dello scorso 18 settembre, l’Inps ha fornito le prime istruzioni relative all’esonero contributivo previsto per i datori di lavoro che non richiedono ulteriori trattamenti di integrazione salariale.

In particolare, potranno accedere al beneficio i datori di lavoro che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, degli interventi di integrazione salariale per emergenza Covid-19.

L’Inps ha precisato che si tratta di un esonero totale, ad esclusione dei premi Inail ed altre contribuzioni minori – e che il suo ammontare sarà pari alla contribuzione non versata per il doppio delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di maggio e giugno 2020.

Inoltre, l’importo dell’esonero dovrà essere riparametrato e applicato su base mensile per un periodo massimo di quattro mesi e non potrà superare, per ogni singolo mese, l’ammontare dei contributi dovuti nel mese.

Tuttavia, per la concreta applicazione dell’esonero sarà necessario attendere l’autorizzazione della Commissione Europea oltre che un ulteriore messaggio INPS.

Siglato l’Accordo per il rinnovo del CCNL Gomma Plastica

Il 16 settembre 2020 è stato siglato l’Accordo per il rinnovo del CCNL per gli addetti dell’industria della gomma, cavi elettrici ed affini e all’industria delle materie plastiche. Il contratto decorre dal 1° luglio 2019 sino al 31 dicembre 2022.

Nel dettaglio, sono state integrate nel CCNL le definizioni di trattamento economico minimo (TEM) e trattamento economico complessivo (TEC). Circa tale ultimo istituto, le parti hanno individuato gli elementi economici che lo definiscono, affiancando al TEM stesso gli scatti di anzianità, l’indennità sostitutiva del premio di risultato, le maggiorazioni e altre voci e indennità contrattuali, oltre alla contribuzione ai fondi di assistenza sanitaria e previdenza integrativa.

È stato, tra le altre, previsto un aumento medio sui minimi di 63 Euro suddiviso in due tranche: (i) la prima di Euro 32 dal 1° gennaio 2021; (ii) la seconda di Euro 31 da gennaio 2022.

Ulteriori novità riguardano l’indennità per lavoro notturno, che sarà proporzionata all’effettiva prestazione lavorativa, e l’indennità sostitutiva del premio di risultato, la quale sarà erogata da tutti i datori di lavoro che, nei 3 anni precedenti, non abbiano realizzato o applicato la contrattazione del premio di risultato.

Siglato il CCNL Lavoro Domestico (Fidaldo, Domina)

Il giorno 8 settembre 2020 è stato siglato il CCNL sulla disciplina del lavoro domestico. Il contratto decorre dal 1° ottobre 2020 sino al 31 dicembre 2022.

Tra le novità si annovera l’introduzione dal prossimo 1° ottobre delle seguenti indennità:

  • sino al compimento del sesto anno di età di ciascun bambino assistito, l’assistente familiare inquadrato nel profilo B Super (baby sitter) ha diritto di percepire un’indennità mensile pari a 115,76 euro (0,70 euro valori orari). Tale indennità è assorbibile da eventuali superminimi individuali di miglior favore percepiti dal lavoratore;
  • al lavoratore inquadrato nel livello C S o DS addetto all’assistenza di più di una persona non autosufficiente, è dovuta un’indennità di 100,00 euro mensili (0,43 euro orari), anch’essa assorbibile da eventuali superminimi individuali di miglior favore percepiti dal lavoratore.

Aumento dei minimi retributivi dal 1° ottobre 2020

A decorrere dal 1° ottobre 2020 è previsto un aumento dei minimi retributivi tabellari dei seguenti contratti collettivi nazionali di lavoro:

  • CCNL CENTRI ELABORAZIONE DATI (Assoced)
  • CCNL ENERGIA – ENI (Confindustria)
  • CCNL PETROLIO – INDUSTRIA PRIVATA (Confindustria)
  • CCNL POMPE FUNEBRI (FENIOF)
  • CCNL RADIOTELEVISIONI PRIVATE (Confindustria, ANICA)

Furto in azienda: il licenziamento è legittimo quando previsto dalla contrattazione collettiva (Andrea Di Nino, Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro, settembre 2020)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n 11005 del 9 giugno 2020, si è espressa circa il licenziamento di un lavoratore, reo di aver sottratto due pennelli aziendali, che gli sono stati ritrovati nello zaino.

In particolare, la sentenza del 30 maggio 2018 della Corte d’Appello di Roma confermava la decisione presa dal Tribunale di Cassino, rigettando la domanda proposta dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato. Nei fatti in discussione, il recesso veniva operato dal datore di lavoro in relazione al ritrovamento nella borsa del lavoratore, al termine del turno, di due pennelli considerati di provenienza aziendale, per la somiglianza a quelli in uso nell’azienda e presenti in magazzino.

Le giustificazioni del lavoratore, di fatto, non sono state ritenute idonee a dimostrare la proprietà da parte sua dei pennelli, né hanno fornito una logica alternativa a quella dell’illecita sottrazione dei pennelli al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell’azienda. Di contro, i testimoni intervenuti hanno confermato l’identità dei pennelli con quelli adoperati in azienda, verificando dunque la fattispecie di cui all’art. 32 del CCNL applicabile, che prevede il licenziamento come misura sanzionatoria proporzionata al caso di specie. Difatti, l’episodio – a prescindere dal valore economico dei pennelli, ovviamente modico – ha comportato la lesione del vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, da cui l’applicazione tempestiva della sanzione prevista dal contratto collettivo.

In dettaglio, secondo i Giudici di legittimità, la Corte territoriale ha derivato il convincimento della proprietà aziendale dei pennelli avvalendosi di una fotografia che, in effetti, riproduceva l’immagine di due pennelli generici in uso nell’azienda e non esattamente di quelli rivenuti nello zaino. Detta fotografia, ha argomentato la Suprema Corte, non è stata funzionale al riconoscimento materiale degli oggetti sottratti, bensì a stabilire – sulla base della testimonianza dei dipendenti – se quegli oggetti generici mostrati in foto corrispondessero o meno ai pennelli rinvenuti nello zaino del lavoratore.

La Suprema Corte, nel respingere infine il ricorso del lavoratore, dichiara come addebitabile a quest’ultimo la mancanza riconducibile all’ipotesi del furto in azienda, che lo stesso contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione. Il giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale fondato sull’idoneità della condotta addebitata a ledere il vincolo fiduciario è, di conseguenza, da considerarsi immune da vizi, in quanto tale vincolo si intende come la possibilità di affidamento del datore nell’esatto adempimento delle prestazioni future, a fronte della quale alcuna rilevanza può essere attribuita all’esiguo valore dei beni sottratti.

Fonte: Sintesi – Ordine dei Consulenti del Lavoro

Contratto a tempo determinato: le novità del Decreto Agosto

Una delle normative più discusse negli ultimi anni è quella sui contratti a termine e le numerose novità introdotte hanno indubbiamente influito sulle scelte datoriali e sull’attuale sistema occupazionale.

Le previsioni del Decreto Dignità

Da ultimo le modifiche strutturali più importanti sono state apportate dal Decreto Legge 12 luglio 2018, n. 87  convertito dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96 (c.d. Decreto Dignità) che ha modificato alcune disposizioni introdotte dal Jobs Act (D.Lgs. 81/2015).

In particolare, il Decreto Dignità consente la stipulazione del primo contratto senza le c.d. “causali” (cioè, specifiche ragioni giustificatrici), solo se non supera la durata di dodici mesi.

Invece, la proroga dello stesso (se la durata complessiva eccede i dodici mesi) e/o la stipulazione di un ulteriore contratto (rinnovo) può essere elevata a ventiquattro mesi in presenza di almeno una delle seguenti causali:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro;
  • esigenze sostitutive di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria del datore di lavoro.

Il contratto a tempo determinato, pertanto, non può avere una durata superiore a ventiquattro mesi, comprensiva di eventuali proroghe e/o rinnovi. Ciò, salvo diverse disposizioni previste nei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il legislatore è intervenuto anche sul numero massimo di proroghe prevedendo la possibilità di estendere il contratto a tempo determinato fino a un massimo di quattro volte.  Viene inoltre ribadito che la proroga deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato e l’indicazione della causale è necessaria solo quando il termine complessivo superi i dodici mesi.

Nelle ipotesi di rinnovo viene, invece, prevista la necessità di apporre una delle predette casuali a prescindere dalla durata del contratto originariamente stipulato.

Le previsioni del Decreto Agosto

Oggi, per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da COVID-19 in atto e per garantire maggiore flessibilità ai datori di lavoro nell’uso del contratto a tempo determinato, il Decreto-Legge n. 104 del 14 agosto 2020 (c.d. Decreto Agosto) ha introdotto importanti novità.

Nello specifico, l’art. 8 del Decreto Agosto, in deroga a quanto disposto dal Decreto Dignità, ha previsto la possibilità per i datori di lavoro privati di rinnovare o prorogare fino al 31 dicembre 2020, ferma restando la durata complessiva di 24 mesi, i contratti tempo determinato, anche senza l’apposizione di una ragione giustificatrice.

Sul punto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’”INL”), con la nota n. 713 del 16 settembre 2020, ha chiarito che il termine del 31 dicembre 2020 è riferito esclusivamente alla formalizzazione della proroga o del rinnovo. La durata del rapporto potrà protrarsi anche nel corso del 2021, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi.

Da ultimo il Decreto Agosto ha statuito che i rinnovi e le proroghe a-causali sono ammessi per una sola volta. 

Tale disposizione ha creato inizialmente indirizzi di segno opposto circa la possibilità dei datori di lavoro che hanno già esaurito il numero massimo di proroghe, di poter prorogare ulteriormente il contratto a termine. Tale dubbio interpretativo è stato chiarito dall’INL, sempre con la nota del 16 settembre 2020, n.71.

In particolare, l’INL ha ribadito la possibilità di prorogare una sola vola senza l’apposizione di una causale anche i rapporti di lavoro che in forza di precedenti contratti, avevano già raggiunto il limite massimo di 4 proroghe.

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Concludendo, per completezza, va evidenziato che secondo l’orientamento interpretativo prevalente della normativa le citate nuove disposizioni si applicano anche alla somministrazione a termine stante l’equiparazione tra le due tipologie contrattuali confermata dagli articoli del Decreto Dignità.

DL 111/2020: novità in materia di Congedi e Smart Working

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 223 del giorno 8 settembre 2020 il DL 111/2020 recante “Disposizioni urgenti per far fronte a indifferibili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Il Decreto de quo è entrato in vigore il successivo 9 settembre.

Entriamo nel dettaglio delle principali novità in materia lavoristica.

Diritto allo smart working 

Viene sancito il diritto al lavoro agile (c.d. smart working) per i lavoratori dipendenti, per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico.

Congedo Covid

Nei casi in cui, invece, la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità di lavoro agile, è prevista la possibilità, per uno dei due genitori, di astenersi dal lavoro per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio.

Per i periodi di congedo, in luogo della retribuzione, è riconosciuta una indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata seguendo la medesima ratio prevista per i periodi di maternità/paternità ovverosia identificando, in primis, la retribuzione imponibile INPS del periodo mensile precedente quello in cui il lavoratore si assenta.

Tale valore andrà diviso per 26 nelle casistiche di “operai” e per 30 nelle casistiche di “impiegati”: il risultato del rapporto identificherà la “retribuzione media giornaliera” (RMG), da riproporzionare al 50% e moltiplicare per i giorni di assenza del lavoratore.

È opportuno evidenziare, altresì, che il beneficio è riconosciuto nel limite di spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2020 e, pertanto, sarà l’Inps stesso a monitorare le risorse disponibili e a sospenderle in caso di raggiungimento del limite di spesa.

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I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa.

La possibilità di fruire di questi benefici è fissata entro il termine del 31 dicembre 2020.

Entrambe le misure non possono essere adottate se, nel periodo di quarantena del minore, l’altro genitore è già in regime di smart working o non svolge alcuna attività lavorative.

Un’altra attività durante la malattia può legittimare il licenziamento

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18245 del 2 settembre 2020, ha ribadito il principio secondo il quale lo svolgimento di una attività (lavorativa o extralavorativa) durante l’assenza dal lavoro per malattia può costituire grave inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sul lavoratore, se essa è tale da pregiudicare o ritardare la guarigione.

I fatti

Il caso di specie trae origine dall’azione giudiziale promossa da un lavoratore avverso il licenziamento per giusta causa intimatogli dal proprio datore di lavoro, con cui rivendicava la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Nel dettaglio, il Tribunale (prima) e la Corte d’appello (poi) territorialmente competenti accertavano che il lavoratore – inabile al lavoro per tre giorni a causa di una “dermatite acuta alle mani” – aveva espletato attività, nei medesimi giorni di assenza, presso il bar-pasticceria di proprietà della moglie. Qui si occupava, tra le altre incombenze, del lavaggio stoviglie e della preparazione di caffè, esponendo le mani a fonte di calore.

Il lavoratore, a parere dei giudici di merito, aveva così violato i doveri di correttezza e buona fede imposti in costanza di malattia e finalizzati a garantire il sollecito recupero delle energie da porre a disposizione del datore di lavoro.

Il lavoratore soccombente ricorreva in cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione adita, nel rigettare il ricorso del lavoratore, ha confermato la rilevanza disciplinare dell’addebito mosso nei suoi confronti. Ciò in quanto volto, “non tanto a contestare la mancanza di giustificazione dell’assenza, quanto a sanzionare la sottrazione consapevole del lavoratore all’obbligo della prestazione lavorativa, oltre che agli obblighi contrattuali in genere”.

Questa conclusione, prosegue la Corte di Cassazione, risulta “conforme a quanto reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui lo svolgimento di  altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio” (cfr., tra le altre, Cass. 19.10.2018 n. 26496, Cass. 27.4.2017 n. 1041).

Sempre secondo la Corte di Cassazione, “l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro (solo) laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”.

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La sentenza in commento giunge, dunque, alla conclusione secondo la quale lo svolgimento di altra attività (lavorativa o meno) da parte del dipendente assente per malattia è idonea a giustificare e legittimare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, se è tale da aggravare la patologia nonché i tempi di guarigione ed il rientro in servizio.

Veicoli aziendali e fringe benefit: le prime indicazioni dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 46 del 14 agosto 2020, si è espressa in merito alla valorizzazione del fringe benefit ai fini fiscali e contributivi dei veicoli concessi in uso promiscuo ai lavoratori dipendenti.

Normativa di riferimento

L’intervento dell’Agenzia delle Entrate segue la modifica dell’art. 51, comma 4, lettera a), del DPR 917/1986 (TUIR) ad opera della legge n. 160/2019 (c.d. Legge di bilancio 2020) in vigore dal 1° gennaio di quest’anno. Tale modifica ha previsto, con decorrenza dal 1° luglio 2020, una revisione della quantificazione del fringe benefit imponibile in base alle emissioni di CO2 per chilometro, avvantaggiando le vetture meno inquinanti ai danni di quelle che producono più anidride carbonica.

Nel dettaglio, la nuova scrittura della norma prevede che per gli autoveicoli, i motocicli e i ciclomotori di nuova immatricolazione, con valori di emissione di anidride carbonica non superiori a 60 g/km di CO2, concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a decorrere dal 1° luglio 2020, si debba assumere come base imponibile – fiscale e, per effetto dell’armonizzazione, anche contributiva – il 25% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle ACI, al netto delle somme eventualmente trattenute al dipendente da parte del datore di lavoro a fronte della concessione del benefit.

La menzionata percentuale è elevata al 30% per i veicoli con valori di emissione di anidride carbonica superiori a 60 g/km ma non a 160 g/km; qualora tali valori siano invece superiori a 160 g/km ma non a 190 g/km, la predetta percentuale è elevata al 40% per l’anno 2020 e al 50% a decorrere dall’anno 2021; per i veicoli con valori di emissione di anidride carbonica superiori a 190 g/km, infine, la percentuale è pari al 50% per l’anno 2020 e al 60% a decorrere dall’anno 2021.

Restano esclusi i contratti già in essere a tale data, per i quali continua ad applicarsi la vecchia normativa, che prevede la determinazione del fringe benefit nella misura fissa del 30%.

I chiarimenti dell’Agenzia dell’Entrate

In merito alle nuove previsioni, l’Agenzia delle Entrate – rispondendo ad un’istanza di interpello posta da un datore di lavoro – ha fornito alcuni chiarimenti di rilievo circa la corretta identificazione della platea di autoveicoli, motocicli e ciclomotori soggetti alla nuova normativa.

In dettaglio, l’istante ha chiesto di sapere:

  • a quale momento debba intendersi riferita la data del 1° luglio 2020. In particolare, ha chiesto se debba essere considerata la data dell’accordo tra datore di lavoro e dipendente con scelta del veicolo da assegnare oppure la data in cui il fornitore riceve l’ordine di acquisto o di noleggio da parte della azienda richiedente e
  • se l’immatricolazione del veicolo debba essere effettuata necessariamente dopo la data di stipula del contratto oppure anche antecedentemente purché dopo il 1° gennaio 2020.

Sul punto l’Agenzia delle Entrate ha risposto che la portata della locuzione di “nuova immatricolazione” è da ricondursi agli autoveicoli, motocicli e ciclomotori immatricolati dal 1° luglio 2020, a nulla rilevando la data di entrata in vigore della Legge di Bilancio 2020 (1° gennaio 2020). Sia per ragioni logico-sistematiche che di coerenza temporale del nuovo regime, l’amministrazione fiscale non ha ritenuto plausibile considerare due diversi momenti ai fini dell’operatività della norma in commento, ovvero il 1° gennaio 2020 per il rispetto del requisito temporale dell’immatricolazione e il 1° luglio 2020 per il rispetto dell’altro requisito temporale relativo alla stipula del contratto, con il quale è concesso in uso promiscuo il benefit.

Inoltre, è necessario – affinché la nuova formulazione della lettera a) del comma 4 dell’art. 51 del TUIR possa trovare applicazione – che gli autoveicoli, motocicli e ciclomotori siano concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a decorrere dal 1° luglio 2020. Questo in quanto – a detta dell’Agenzia – la concessione dell’auto in uso promiscuo al lavoratore non è da considerare come atto unilaterale bensì un vero e proprio contratto tra datore di lavoro e dipendente.

Da ultimo, l’amministrazione ha fornito un parere in merito alla disciplina fiscale applicabile nell’ipotesi in cui il contratto di concessione in uso promiscuo del veicolo sia stipulato dopo il 1° luglio 2020, ma il veicolo sia stato immatricolato prima di detta data. In questo caso, la quantificazione della base imponibile è da ricercarsi nei principi generali che regolano la determinazione del reddito di lavoro dipendente.

A riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento alla risoluzione n. 74/2017, con cui ha precisato che, laddove il legislatore non abbia indicato un criterio forfettario per la valorizzazione di un benefit, i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili. Ciò, al fine di evitare che l’intero “valore normale” del bene conferito concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. Di conseguenza, il benefit dovrà essere fiscalmente valorizzato per la sola parte riferibile all’uso privato mezzo, scorporando dal suo valore normale l’utilizzo effettuato nell’interesse del datore di lavoro.

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